Le giustificazioni tecniche di trenta e più irregolarità possono certamente essere alla base di un documento che si fa fatica a leggere, proprio perché tecnico. Tant’è, per capire la “questione di Riace” è necessario fare anche questo, addentrarsi nell’elenco di irregolarità che il Comune in questione avrebbe accumulato e che, per questo, ora vedrebbe il suo modello di integrazione intersociale e interculturale venire meno, sgonfiarsi come un palloncino al sole.
Il risultato pratico, dopo l’arresto di Mimmo Lucano, è il completo azzeramento di una esperienza elogiata a livello mondiale e per la quale si chiede anche il Nobel per la pace.
Per ora l’unico Nobel che riceve è quello dell’esempio di una umanità da gente semplice che è abituata a riconoscere l’umanità laddove si trova.
Lo “svuotamento” di Riace, la deportazione dei suoi abitanti “stranieri” è questo. Non altro. E’ questo anche se le parole e i tecnicismi che esprimono possono chiamare “trasferimento” un effetto che è a valle di una causa che il monte dei problemi sociali e civili di oggi: la neoclassifcazione della popolazione su base etnica per continuare ad avere un consenso popolare artatamente creato col fine di mostrare che esiste sempre il costante pericolo del capovolgimento dei valori di una società italiana minacciata da ogni dove.
E’ un fatto di una gravità inaudita che deve chiamare ogni sincero custode dei valori della Costituzione alla mobilitazione permanente, all’organizzazione del dissenso cosciente, pacifico ma continuo, da esprimersi tanto con mille iniziative di piazza quanto con una grande manifestazione nazionale unitaria di tutti coloro che avversano questo governo che tradisce i princìpi di solidarietà, uguaglianza e umanità della Carta del 1948.
Questa volta non ci sono scuse di sorta: generazioni di quarantenni come la mia e anche successive hanno conosciuto gli orrori del disprezzo di esseri umani da parte di altri esseri umani, considerati inferiori, imperfetti e dunque da allontanare dal contesto sociale, da relegare in campi di concentramento e poi, seguendo una macchina organizzativa tristemente perfetta, da sterminare sistematicamente secondo precise categorie assegnate mediante triangoli di vario colore.
Questa volta non ci sono scuse di sorta: dobbiamo saper riconoscere in tempo la minaccia non di un nuovo Terzo Reich, non di una riedizione carnascialesca di ciò che avvenne durante nazismo e fascismo, fatta di simbologie o divise simili a quelle di allora, ma di nuove parole autoritarie, di nuove restrizioni di libertà che, giorno dopo giorno, comprimono diritti sociali e diritti civili e fanno dell’Italia un luogo angusto dove vivere per tutti coloro che esprimo un genere di vita non conforme ai dettami sovranistici del governo o di chi, come noi, dissente e lo manifesta apertamente, esprimendo un sacrosanto diritto costituzionale e, soprattutto, un dovere di mettere in pratica una nuova resistenza che deve essere acquisizione di quella coscienza che non può sfuggirci.
Questa volta non ci sono scuse di sorta: tutte e tutti, cari cittadini italiani, abbiamo i mezzi per poter individuare la cattiveria, la crudeltà, l’odio gratuito, l’odio non di classe ma razziale, la xenofobia mascherata da “protezione” degli italiani da chissà quali pericoli.
I veri pericoli sono rappresentati dagli sfruttatori, dai padroni che su queste classificazioni trovano modo di separare ancora una volta proletari da altri proletari e gestire la difficile fase di una crisi economica che perdura da troppo tempo con la mediazione razziale di una politica dedita non al sociale, quindi alla protezione dei diritti popolari, ma ad un interclassismo che cerca al contempo la pace-sociale e il consenso popolare interclassista.
Questa volta non ci sono scuse di sorta: il clima politico è sempre più simile a quello in cui crollò la debole democrazia di Weimar e vennero avanti quelli che dapprima sembravano innocui agitatori politici che avevano una capacità dialettica eccellente, che riuscivano a parlare tanto nelle birrerie di Monaco quanto nelle piazze trionfalmente organizzate con parate para-militari e lunghi drappi rossi con al centro un cerchio bianco e un antico simbolo religioso asiatico adattato alla bisogna.
Questa volta non ci sono scuse di sorta: ciò che sta accadendo a Riace è l’ultimo grave stimolo di una conversione autoritaria degli apparati dello stato influenzati da un governo che formalmente rispetta la democrazia repubblicana e la Costituzione, che mostra di muoversi per vizi di forma, per inesattezze sui regolamenti, per violazioni di parti tecniche di accordi e leggi nazionali, ma che, se anche così fosse, dimostra di non voler adeguare le norme, con proposte concrete in Parlamento, ad un necessario, imprescindibile bisogno di umanità crescente: una domanda di integrazione che Riace ha soddisfatto anche disobbedendo alle leggi ma mai operando contro qualcuno, soprattutto contro il pubblico interesse.
Chi governa deve uniformarsi allo spirito democratico della Repubblica, della Costituzione e deve essere oggetto di critica da parte dei cittadini se ciò non avviene.
Ogni giorno assistiamo ad attacchi ad ogni forma di libertà: contro i giornali della borghesia che, sostenendo gli interessi padronali, vedono la manovra economica come un pasticcio che scontenterà tanto gli imprenditori quanto il cosiddetto “popolo” preso sotto l’ala protettrice del governo.
Ogni giorno gli attacchi si fanno sempre più duri: dalla negazione della mensa ai bambini di Lodi le cui famiglie non riescono a pagare le rette alla rabbia di alcuni lodigiani che paragonano gli “stranieri” a dei parassiti.
L’umanità sta abbandonando quell’Italia che aveva ricostruito un senso comunitario nazionale, popolare, sociale dal dopoguerra in avanti.
I guasti dell’individualismo esasperato portati avanti da venti anni di berlusconismo danno i loro frutti: l’egocentrismo è diventato postura rigida di un portamento antisociale spacciato come affermazione di sé stessi in quanto accesso al pieno sviluppo della libertà. Tutto a discapito del bene comune, della partecipazione collettiva alla trasformazione sociale che, oggi, diventa trasformazione dello Stato – quindi dell’apparato burocratico – da democratico ad autoritario e che dovrà comunque faticare a piegare anche la Repubblica in tal senso.
Noi continuiamo a confidare nella memoria, forse ormai più in una reminiscenza del passato per evitare che si ripetano tragedie e crudeltà fondate sull’odio razziale, sull’odio per il diverso, sull’odio per chi semplicemente non condivide lo stesso pensiero o la stessa visione del mondo.
Ma non siamo noi ad avere una visione sbagliata del mondo: sono coloro che pensano che esistano degli “stranieri” e che propagandano “invasioni” di migranti, che separano bambini italiani da bambini “stranieri” costretti a mangiare un panino in una stanza accanto dove invece pranzano alla mensa quelli autoctoni.
Non siamo noi ad avere una visione sbagliata del mondo, perché lo pensiamo senza frontiere, senza confini, senza idee di “stranieri”, ma una unica umanità che deve poter vivere le sue differenze come elemento di confronto e di ricchezza, di scambio culturale e sociale e non come muro da contrapporre ad altro muro per difendere una identità che è invenzione di una unica razza: quella umana.
MARCO SFERINI
14 ottobre 2018
foto tratta da Pixabay