L’ho ascoltato la prima volta su un vagone ferroviario in stile “littorina”, di quelli che facevano tutte le fermate, una per una, mentre andavo all’università.
Claudio Lolli, come Pierangelo Bertoli, Rino Gaetano, Francesco Guccini, I Nomadi, Roberto Vecchioni, Massimo Bubola, Fabrizio De Andrè, mi ha istruito politicamente e moralmente. Direi anche socialmente.
Ha contribuito a costruire una impalcatura di contrarietà consapevole ad un sistema che da adolescente mi appariva come “naturale” nell’esistenza del tutto che mi circondava.
Con “Prima comunione” ho rivissuto le sensazioni della mia, una triste, angusta giornata, fatta di ritualità incomprensibili, piena di fronzoli di frasi che mi dicevano soltanto che tutto quello che vivevo mi era, in fondo, estraneo e che forse si avvicinava soltanto al senso di una mera ritualità subita piuttosto che voluta e cercata.
Con “Michel” ho pianto tanto ricordando tutti gli amici che se ne sono andati per svariati motivi: amici di infanzia, giovinezze che stringevano un patto di emozioni difficili da schematizzare e quindi capire pienamente.
Anche a me piaceva (e piace) Garibaldi e anche io avevo un Michel cui piaceva l’esatto opposto. Sono quelle amicizie di cui non puoi fare a meno e che ricordi nel tempo, proprio mentre un treno te le porta via fisicamente, visivamente e il tuo cerebro non può fare altro che ribellarsi all’idea della separazione definitiva. Ma il distacco permanente è una massiccia e scorticante realtà.
Con “Aspettando Godot” ho sempre dato un significato all’esclusione dell’arrendevolezza, all’abbandono nella rassegnazione. Sedersi su una panchina e guardare scorrere gli eventi era e rimane il contrario dell’azione rivoluzionaria che si esprime anche solamente nella vitalità quotidiana, nel mantenere per l’appunto vive idee che possono essere un ostacolo al vomitatoio di massa di popoli sedotti dal mercato o dalla crudele ambizione della supremazia per la difesa dei propri confini, privilegi (scambiati per diritti) e veri e propri beni materiali da tenersi stressi con un abbraccio arpagoniano.
Con “Ho visto anche degli zingari felici” ho pensato tante volte alla “risata che vi seppellirà”, all’ubriacarsi di ottimismo anche quanto tutto “sembra essere perduto” (avrebbe scritto Gramsci).
Insomma, sono grato a Claudio Lolli che ha fatto nascere in me tante emozioni e che, pur non sapendolo, mi ha permesso di essere un comunista ma libertario. Non ottusamente legato ad una idea novecentesca del marxismo e del comunismo ma, semmai, proprio zingaresca, nomade, continuamente rinnovabile nel vagare in mezzo ad eresie che sono iniziate con Babeuf e sono continuate con Rosa Luxemburg.
Addio caro Claudio, vado ad ascoltare “Aspettando Godot” perché la necessità del movimento è rivoluzionaria, la staticità e la passività sono così di destra… e io ho bisogno di rivoluzione, anche piccola, microbica, circoscritta al mio stesso essere ed esistere. Ma ne ho bisogno.
(m.s)
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