Il 15 luglio 1938 veniva firmato il manifesto che affermava l’esistenza delle razze e, in queste, di “piccole” e “grandi” razze”. Tra l’altro vi si affermava che “il concetto di razza è puramente biologico”, quindi affonderebbe le sue radici nell’essenza materiale stessa dell’individuo, nella sua corporeità.
I firmatari di questo abominio antiscientifico (firmato anche da alcuni scienziati dell’epoca) concludevano con alcuni punti propagandistici: la vera razza italiana (o italica che dir si voglia…) era una verità indiscutibile ed escludeva, ovviamente, gli ebrei.
Una rilettura è necessaria: per rinfrescare la memoria, per avere sempre ben presente che il popolo italiano si è già lasciato sedurre da idee che hanno negato ciò che pochi anni dopo avrebbe invece affermato abbattendo le statue del regime fascista e i simboli littori: la Costituzione repubblicana.
Non ci può essere condivisione di idee e di intenti: se si condivide il testo della Carta del 1948 non si può condividere in nessun punto il manifesto razzista del fascismo (controfirmato dalla monarchia).
Eppure, oggi, guardando alle affermazioni che si fanno, alla disponibile accettazione di concetti di discriminazione e odio preconcetto, sembra proprio che gli italiani possano essere entrambe le cose: a parole fedeli ai princìpi costituzionali e, sempre a parole, lanciati verso una rivalutazione del razzismo come forma di distinzione utile alla società, arnese protettivo dell’italianità davanti a quella inesistente “invasione” di migranti che dall’altra parte del Mar Mediterraneo è veramente un olocausto invisibile a tanti, a troppi.
Peggio è chi fa convivere Costituzione e razzismo rispetto a chi si proclama apertamente razzista. Peggio lo è perché la sovrapposizione di questi due livelli inconciliabili è il vero snaturamento della democrazia repubblicana e l’affermazione che dentro il perimetro della costituzionalità ci può stare tutto: dal diritto alla tortura fino alle più atroci parole razziste e xenofobe.
(m.s.)