Il marchio Burberry nella bufera. La griffe inglese dell’alta moda in due giorni è nell’occhio del ciclone per due vicende diverse in cui è però comune il poco rispetto per i suoi dipendenti.
La prima vicenda riguarda un questionario mandato dall’azienda ai dipendenti di tutto il mondo in cui ci sono domande sulla propria etnia e sull’orientamento sessuale.
«Si identifica come lesbica, gay, bisessuale, transgender o queer (termine gergale anglosassone per omosessuale, ndr)?» e ancora: «specifichi la sua etnia», e le scelte che offre il menu a tendina sono aberranti: «asiatico/isolano del Pacifico – Nero o afroamericano – Ispanico o latino – Mediorientale – Nativo Americano o indiano d’America – Bianco – Altro.
In Italia il marchio fondato nel 1856 ha circa 500 tra boutique e negozi negli outlet. Il caso è stato sollevato da alcuni lavoratori e ripreso dal Cobas, in Italia unico sindacato firmatario del contratto integrativo.
«Riteniamo il questionario al di fuori della Costituzione di questa Repubblica», attacca Francesco Iacovone dell’esecutivo nazionale Cobas. «In un momento già critico di questo paese, indagare sulle origini etniche e gli orientamenti sessuali è un obbrobrio e una violenza inaccettabile – prosegue il rappresentante sindacale – molti lavoratori ci hanno chiamato indignati e offesi. Noi li sosterremo e ci auspichiamo che le comunità Lgbt e la società civile si schierino dalla parte di queste donne e questi uomini e ci sostengano in questa lotta».
Iacovone ha incontrato il nuovo responsabile Emea (Europa e mediterraneo) di Burberry John Scaramuzza. «Si è difeso dicendo che il questionario era facoltativo, ma è chiaro che un dipendente che si vede arrivare nella mail aziendale un questionario si sente in obbligo di compilarlo», spiega Iacovone. «Gli abbiamo chiesto di interrompere immediatamente la diffusione del questionario e di cancellare ogni traccia per i tanti che lo hanno già compilato. Non hanno accettato. Sembra che non si rendano conto della gravità dell’accaduto. Stiamo valutando come procedere, pensiamo di fare una denuncia al Garante della Privacy per tutelare i lavoratori. Nel frattempo abbiamo avvertito i nostri iscritti e i delegati stanno contattando i dipendenti per invitarli a non aprire neppure il questionario. Imporremo il rispetto dei diritti civili e Costituzionali, che ormai le aziende del commercio sembrano ignorare completamente», conclude Iacovone.
…continua a leggere su il manifesto.it…
NINA VALOTI
foto tratta da Pixabay