Non ci è rimasto che il “voto contro”. L’ultima arma per frenare una avanzata delle forze di governo che gestiscono la costruzione dell’apparenza contro la sostanza, della sembianza contro la verità dei fatti, della fobia – che è sempre irrazionale – contro la concretezza della paura che dovrebbe invece essere sempre oggettiva.
Non ci è rimasto che il “voto contro”, un mezzo odioso, svilente il valore della delega attraverso la “X” che si traccia sul simbolo scelto, sul nome del candidato individuato e che ci dovrebbe rappresentare.
Ma il collegamento, la simbiosi diretta tra rappresentato e rappresentante è andata in pensione da molti anni e per ormai troppo tempo siete stati abituati a votare prima “il meno peggio” e poi “contro”, mai a favore di qualche progetto che incarnasse i desideri, i sogni e le speranze di vedere la vita migliore, più tollerabile nonostante le sue torture quotidiane.
Non ci è rimasto che questo “voto contro”, diventato quasi indispensabile perché viviamo in mesi di crescita esponenziale dei teoremi di difesa dell’italianità dei prodotti – come se il “made in Italy” lo avessero inventato i giallo-verdi governativi – e della cultura dello Stivale, le sue tradizioni, usi, costumi, il tutto sotto la minaccia di una invasione di migranti, sul pericolo dei rom e dei sinti, in difesa paladina della legalità, di una morale forse superiore, di un principio di precauzione che va sempre a scontrarsi con i più deboli, che non tocca mai i potenti, i ricchi.
Le pensioni d’oro, dite? Ci sono e ci saranno finché ci sarà un sistema che le garantisce attraverso l’accumulazione di cariche e l’esaltazione del privilegio che è insita nel capitalismo.
Discorso troppo alto e fuori tema per affrontarlo qui.
Torniamo al “voto contro”, alla sua essenzialità. Che fare, dunque? Riprendere turaccioli, stoppa e cotone e tapparsi ogni orifizio ed esprimersi in cabina elettorale contro tutte e tre le destre o individuare quale di queste destre può garantire ciò che le altre non garantirebbero?
Magari una punta di liberlismo nel liberismo dominante. Magari toni più civili nell’inciviltà del sistema delle merci e dello sfruttamento becero alimentato da controriforme come il Jobs act, la Buona scuola e via discorrendo.
La coscienza di ciascuno farà il suo corso. Certo, un partito comunista che si rispetti dovrebbe dare una indicazione. Ma intanto, chi ci ascolta più in questi tempi? Facciamo fatica persino ad ascoltarci tra noi: siamo diventati settari, ottusi, capaci quasi esclusivamente di vedere nel nostro compagno che ci critica un nemico e non un critico propositivo.
Il pregiudizio antico tipico dei partiti e dei partiti di sinistra è riemerso, richiamato come da lontano dal suolo di sirene dell’odio che tracima in tutte le vie e piazze del Paese.
Passeggiando per grandi e medie città, per piccoli paesi e per frazioni di piccoli comuni si sentono i discorsi ispirati da giornali, televisioni e Internet (in senso stretto dai “social”): discorsi di rabbia, di violenza parolaia che sarebbe – detto per assurdo – curioso vedere messa in pratica.
Non occorre evocarla più di tanto, perché populismi, sovranismi e caldo sono una miscela esplosiva e possono fare danni inimmaginabili.
Episodi di razzismo violento, vero e proprio squadrismo con armi alla mano, si contano già da Nord a Sud della Penisola e crescono di giorno in giorno.
“Votare contro”, dunque non è certo la soluzione delle soluzioni, tanto mano è l’inizio della soluzione. Forse è quanto di possibile potete fare, voi che voterete oggi per i ballottaggi nei comuni, per dare un segnale di controtendenza a questo governo dei proclami continui, respingente, autoisolazionista, fintamente progressista in economia e apertamente esclusivista in materia di diritti civili.
Della difesa del lavoro nemmeno l’ombra. E poi, come a volte sento dire: “La sinistra oggi si occupa solo di froci e di negri”. La sinistra oggi non si occupa quasi di niente, non ha la forza per reagire e vivacchia, trascinandosi melanconicamente, portando con sé non la famosa cassetta degli attrezzi di un tempo, ma un reggiflebo scalcagnato, piegato dai venti contrari e con sempre meno sussistenza.
Può essere che si parli spesso di “froci” e di “negri” ma, del resto, è doveroso, oltre che politicamente opportuno e moralmente necessario, controbattere sempre alle menzogne delle destre, alla tracotanza con cui vengono dette e al seppellimento della lotta di classe sotto questi infingimenti. In tempi di falsità, aveva detto qualcuno, dire la verità è un atto rivoluzionario.
Se davvero così è, cominciamo da qui, continuiamo da qui: dal dire sempre la verità. Farà male alle coscienze, ma se lo fa, vuol dire che del tutto addormentate forse ancora non sono. Un margine di speranza esiste. La ripetizione di errori e orrori del passato, probabilmente, questa volta possiamo evitarla.
MARCO SFERINI
24 giugno 2018