«Noi a rischio chiusura? – dice la ragazza dietro al bancone di un negozio romano – Non so, forse con Salvini può essere, ma al governo c’è anche il Movimento 5 Stelle, loro sostenevano addirittura la legalizzazione della marijuana. Non questa roba, quella vera». Eppure da ieri mattina l’inquietudine è tangibile, nella miriade di Cannabis light store nati nell’ultimo anno come funghi in ogni città italiana, soprattutto se a improvvisarsi venditore di saponette, cosmetici, infusi rilassanti, biscottini o caramelle aromatizzati alla marijuana c’è qualche giovane che ha riposto le sue speranze di cambiamento nell’urna delle ultime elezioni, abbandonando i vecchi partiti di sinistra e aprendosi al nuovo che avanza.
Peccato che ieri mattina – mentre i rumors del Dipartimento nazionale antidroghe davano per nuovo delegato alle droghe proprio il più cattolico dei ministri, il titolare della famiglia (unica) Lorenzo Fontana che il 27 giugno prossimo sarà in Parlamento per la presentazione della relazione annuale – il discusso farmacologo Silvio Garattini, noto per le sue posizioni proibizioniste, membro del Consiglio superiore di sanità, faceva trapelare una notizia vecchia di qualche mese ma utile al nuovo corso: la sua personale stroncatura dei cannabis light store contenuta in una lettera inviata al Ministero della salute.
L’allora ministra Lorenzin, durante la passata legislatura, aveva infatti chiesto al Css di rispondere a due domande in particolare che riguardavano i nuovi cannabis store. Con una lettera «non ufficiale» datata 10 aprile ma inviata dal Css, Garattini, direttore scientifico dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, aveva risposto bollando come «potenzialmente pericolosi» i prodotti contenenti infiorescenze di canapa sativa, sia pure se con contenuto di Thc inferiore allo 0,6% (come previsto dalla legge 242/2016 che, promuovendo la coltivazione e la filiera agroindustriale della canapa non psicotropa, ha permesso l’apertura di questo tipo di negozi). Garattini inoltre raccomandava al ministero «che siano attivate, nell’interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione, misure atte a non consentire la libera vendita dei suddetti prodotti».
Presa un po’ in contropiede dal can-can sollevato da Garattini, l’attuale ministra della Salute, la pentastellata Giulia Grillo, ha fatto sapere in una nota di aver «investito della questione l’Avvocatura generale dello Stato per un parere anche sulla base degli elementi da raccogliere dalle altre amministrazioni competenti (Presidenza del Consiglio e ministeri dell’Interno, Economia, Sviluppo economico, Agricoltura, Infrastrutture e trasporti). Non appena riceverò tali indicazioni – conclude la ministra Grillo – assumerò le decisioni necessarie, d’intesa con gli altri ministri».
In molti, come il direttore di Fuoriluogo.it, Leonardo Fiorentini o l’Associazione Luca Coscioni per la ricerca scientifica fanno notare che l’Oms a Ginevra ha appena avviato, per la prima volta nella storia, «una revisione delle proprietà terapeutiche della cannabis con probabile declassificazione della sua pericolosità nelle tabelle internazionali».
Senza parlare del fatto che anche il Canada, con la recente legalizzazione della marijuana per uso ricreativo, ha abbandonato la vecchia e inefficace via del proibizionismo per abbracciare quella delle evidenze scientifiche, sconosciute ormai solo ai sostenitori delle scie chimiche o del finto sbarco sulla luna. Eppure, opporsi alla vendita di prodotti che hanno l’effetto psicotropo della camomilla (le infiorescenze della canapa sativa per uso stupefacente ha un contenuto minimo di Thc che va dal 6 al 10%, e può arrivare a percentuali molto alte) è davvero il volto più evidente della propaganda proibizionista, che demonizza il mercato legale per far crescere quello illegale.
Qualsiasi decisione voglia prendere in merito il governo giallo-verde, dovrà però fare i conti con una filiera che nel giro di pochi mesi o anni ha conosciuto un exploit davvero notevole. Basti pensare che la Coldiretti stima 4000 ettari di campagne italiane coltivate a canapa sativa nel 2018, mentre erano 400 ettari nel 2013. Si noti che con la nuova legge non è necessaria l’autorizzazione per coltivare canapa con Thc inferiore allo 0,2%. Per la coltivazione e la vendita di piante, fiori e semi con Thc compreso tra lo 0,2% e lo 0,6%, invece, la Coldiretti stima «un giro d’affari potenziale di oltre 40 milioni di euro».
ELEONORA MARTINI
da il manifesto.it
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