Davide l’ha ucciso un muletto, l’ha ucciso una retromarcia, l’ha ucciso un ribaltamento. Nessuno scampo per un giovane lavoratore di appena ventidue anni.
Nessuno scampo se le tue ossa si rompono tutte sotto il peso di un lavoro che apparentemente non è pericoloso ma che può diventarlo.
Davide lo chiamavano “Olly”. Era il suo soprannome amichevole. E ogni volta che c’è un morto di lavoro, sul lavoro, magari poco prima di una pausa, proprio come accaduto a Olly, non possiamo non scrivere: è un moto spontaneo dell’animo, una rabbia mista alla tristezza e viceversa.
Non serve a nulla scrivere, forse solo a sfogare questi sentimenti. Forse può servire a rimarcare questo stillicidio di morti non bianche ma nerissime.
Non c’è giustizia per queste morti. C’è solo l’accompagnamento che chi prova a stare dalla parte dei lavoratori può dare condividendo frustrazione e vuoto.
(m.s.)
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