Alla ricerca di un qualche spazio televisivo dato improvvidamente a Potere al Popolo!, mi sono ritrovato ieri sera su La 7 ad ascoltare nell’ordine: Eugenio Scalfari, Luigi Di Maio e Pierluigi Bersani. Nella vana speranza di vedere dopo Bersani non Graziano Del Rio ma qualche compagno di Potere al Popolo!, ho resistito e sono andato avanti.
Ma non prima di aver trasecolato un attimo nell’aver ascoltato l’ex segretario del PD affermare che la Legge Fornero era necessaria quando venne approvata perché «altrimenti saremmo finiti come la Grecia» e che oggi «va corretta». Quindi non abolita. Avrei dovuto aspettarmelo, saperlo, intuirlo. Eppure sotto sotto speravo che Bersani si schierasse apertamente contro la Legge, nonostante l’avesse votata a suo tempo. Speravo la disconoscesse, la condannasse come una delle legislazioni che più hanno fatto male al sistema pensionistico italiano e al mondo del lavoro.
Invece no. La tentazione riformista e riformatrice ha fatto capolino e gli ha fatto dire che nei programmi di Liberi e Uguali non c’è l’abolizione ma la rettifica della norma. Un aggiustamento per renderla meno iniqua e permettere ai lavoratori di andare in pensioni a 66/67 anni invece che a 70.
Penso, rispetto allo scenario che in questi anni si è andato componendo proprio in materia di dualismo tra lavoro e pensioni, che 66 anni di età siano una enormità; che sia difficilissimo arrivarvi e che sia pressoché impossibile per quelle generazioni di precari che, pur non avendo fatto la scelta del lavoro saltuario, non definito da contratti che un tempo si usavano e che oggi sembrano delle bestemmie, accumuleranno il diritto alla pensione solo in un romanzo di fantascienza, se avranno la pazienza di scriverlo.
Un romanzo che sembrerà tale ma che sarà invece reale perché avere 35 anni di contributi dovrebbe essere “naturale“, giusto e sacrosanto. Invece oggi bisogna puntare a 40 anni di contributi con una età pensionabile che arriva a 70 anni… Una enormità per chi lavora, una bazzecola per chi sfrutta il lavoro altrui ed un mero tecnicismo per chi ha redatto la legge, per aggiustare i conti di una Italia che rischiava di diventare come la Grecia.
Come la Grecia per i padroni, non certo per i lavoratori. Perché per questi ultimi l’Italia lo è diventata come la culla della cultura europea ma proprio grazie a riforme che anche il centrosinistra bersaniano ha votato, prima ancora che arrivasse il ciclone Renzi a scombinare le carte nel partito erede di due culture messe insieme per garantire una presunta stabilità politico-economica.
Tutto ciò ha fallito platealmente: ha fallito la congiunzione politica socialdemocratico-democristiana ed hanno fallito le politiche dei cosiddetti governi tecnici, come quello di Mario Monti, che hanno imposto al Paese quei “sacrifici” per garantire all’Europa un rapporto di equilibrio maggiore con una Italia che rischiava di peggiorare le condizioni dell’asse franco-tedesco, costringendo Parigi e Berlino a ricorrere a misure di emergenza e, quindi, a svalutare le proprie economie per salvare l’alleato italiano.
Capisco bene che per lorsignori, per coloro che hanno votato anche “da sinistra” la Legge Fornero, tornare ad un regime di adeguamento del sistema pensionistico con il costo della vita è una utopia incandescente, uno scottarsi ancor prima di aver toccato ciò che brucia: ma sarebbe davvero una delle essenziali riforme da mettere in essere per sostenere davvero una svolta di sinistra nelle politiche economiche di un governo.
Così come sarebbe necessario tornare a separare previdenza e assistenza e, parimenti, introdurre una pensione minima con 15 anni di contributi per tutti coloro che hanno avuto una vita lavorativa discontinua. E sono moltissimi, anche tra i meno giovani, in quella prateria di esodati che proprio la Legge Fornero ha lasciato in un limbo, in una sospensione eterea, senza alcun aggancio con una realtà che devono purtroppo invece vivere ogni giorno…
Capisco che mi sono illuso se ho pensato di ascoltare da Bersani queste proposte: del resto non sono proposte di Liberi e Uguali ma di Potere al Popolo!, quindi è logico che non le possa sostenere nemmeno in minima parte chi fino a poco tempo fa, come i leader di LeU, ha partecipato alle politiche del PD e dei suoi governi e le ha sostenute e ha trovato una differenza tale da separarsi dal partito-madre (o padre…) solo nell’egemonia esercitata a tutto tondo da Renzi sul gruppo dirigente.
In aggiunta a tutto ciò, alla domanda di Floris: «Sareste pronti, senza Renzi, a ripensare ad un’alleanza con il PD?» Bersani non ha risposto icasticamente e chiaramente: «No». Ha continuato affermando che se ne può parlare, che “una sinistra seria di governo“, come sarebbe LeU, deve porsi questi problemi, quindi non può escludere nulla a priori.
Ora capite perché sarebbe stato impossibile che noi comunisti, tutte e tutti noi, che ci riconosciamo in Potere al Popolo!, stessimo con LeU? Noi escludiamo, infatti, proprio a priori qualunque possibilità di riedizione del centrosinistra e di alleanza o dialogo con il PD, perché la natura di una nuova sinistra moderna, che aspira a cambiare la società radicalmente, non passa attraverso la speranza di un disarcionamento di Renzi attraverso un risultato elettorale e la ripresa del dialogo con il resto del PD rimanente.
Che cambiamento si può sperare di ottenere andando a stringere una alleanza o provando a dialogare con chi ha reso questo Paese succube delle politiche della Troika e legato mani e piedi ai vincoli europei? Che cambiamento si può sperare di avere navigando a vista, senza un obiettivo più ampio che includa anche la società che sta fuori dal cosiddetto Palazzo?
Una sinistra veramente moderna cerca di coniugare governo e società, governo e lotta, potere istituzionale con quello che abbiamo chiamato il “potere popolare“. Va ricostruito prima di tutto questo ultimo e va ricostruito prescindendo soprattutto da chi ha esercitato un potere antipopolare, un potere tutto intriso da rigide disposizioni bancarie e finanziarie.
La sinistra moderna deve porsi il problema della conquista del potere ma prima può provare a cambiare un po’ le cose senza legarsi ancora una volta alla non più credibile necessità del “meno peggio“, del “salvare il Paese dalle destre“. Perché il meno peggio non esiste più nella sinistra moderata e le destre sono ovunque. Anche nel centrosinistra impropriamente definito tale. Una vera utopia politica che ha ucciso ciò che rimaneva delle vecchie esperienze di partecipazione di massa ai progetti di rinnovamento della vita dei più deboli.
Ecco perché siamo la quinta opzione, quella oscurata da molti giornali, da troppe televisioni. Una censura anche politica, dettata forse dalla distrazione dei cronisti che considerano loro stessi – attenti osservatori delle vicende del Paese – “di sinistra” ciò che sinistra non è o tende a non esserlo più…
MARCO SFERINI
31 gennaio 2018
foto tratta dalla pagina Facebook di Potere al Popolo!