Nella sua ultima opera tradotta in italiano e intitolata Il ponte delle scimmie (Lindau, pp.58, euro 9,50), François Jullien, raccoglie la sfida di mostrare la necessità inderogabile del dialogo nel nostro mondo globalizzato. Filosofo e sinologo, Jullien crede che la possibilità effettiva di un dialogo dipenda in primo luogo dalla ricognizione del termine in questione alla luce dei suoi componenti fondamentali: dia e logos.
Il primo elemento indica la divaricazione a partire dalla quale può scaturire un confronto alla pari tra le culture e l’occasione di riconfigurarsi riflessivamente grazie all’esteriorità dell’Altro. Logos, invece, rivendica la capacità dell’umano di arricchirsi di tutte le deviazioni possibili attraversando forme e contenuti culturali irriducibili al nostro orizzonte di partenza. Non esistono, quindi, realtà culturali e coerenze cognitivo-comportamentali di per sé ineffabili o impermeabili alla traduzione. Jullien mostra come solo l’audacia di pensare il comune a partire dallo scarto può aprire spiragli sulle tare familiari di ogni consolidata tradizione di pensiero. I ponti delle scimmie sono collegamenti fatti con canne di bambù sospese sulle acque dei rami del Mekong, chiamati così per la particolare destrezza richiesta per attraversarli.
Abilità destinata a svanire insieme a un intero sistema di riferimento e a una Gestalt antica quanto la civiltà fluviale. Al loro posto cominciano ad apparire ponti più comodi in cemento, utili per turisti e trasporti. Questa innovazione porta enormi vantaggi in termini di sicurezza e di praticità, tuttavia l’irruzione di una nuova idea di efficienza e di razionalità causa uno sconvolgimento profondo nella coscienza di sé che fatalmente si traduce in alienazione. È ciò che accade quando il passaggio da una logica dell’integrazione a una ragione basata sulla modellizzazione geometrica è troppo brusco e privo di mediazione.
Come resistere dunque all’uniformazione ideologica senza cadere in quell’atteggiamento nostalgico che promuove in politica sterili discorsi identitari? Si tratterà, anzitutto, di coniugare nuove diramazioni e istituire alleanze tra sfere di pensiero che hanno sempre viaggiato in parallelo: il regime implicito della connivenza da un lato, la logica estroversa della conoscenza dall’altro. Le istanze del locale e del globale dovranno essere comprese, considerate entrambe legittime e necessarie. Il futuro di ogni soggetto culturale dipenderà, dunque, dalla possibilità di articolare contemporaneamente l’immanenza dell’intimo che ci riappacifica con gli altri e col mondo, e la trascendenza di un orizzonte planetario ormai ineludibile, veicolato dal sapere parcellizzante della scienza e della tecnologia.
FRANCESCO RAPALLO
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