Il “decoro urbano”. Chi sarebbe costui? Parafrasando malamente il Manzoni, noi siamo quei tanti Don Abbondio che si interrogano su un Carneade dei nostri tempi, impersonale, un concetto di rappresentazione visiva delle nostre città che deve corrispondere al perbenismo dal sapore un po’ retrò, di quella vecchia piccola borghesia d’un tempo, per l’appunto, che male si adatta alla faciloneria di una classe media odierna che vive di odio alimentato da un pregiudizio dettato da sentimenti esclusivamente di pancia.
Di ragione, infatti, di buon senso e di umanità vi è molto poco, anzi non ve ne è proprio traccia nella richiesta fatta al sindaco di Como da parte di alcuni cittadini di non consentire l’aiuto con un pasto caldo e un bicchiere di vino o di the ai barboni e a quanti vivono all’addiaccio.
Aiutarli, sostengono costoro, significherebbe incentivare il degrado della città, farla apparire “accattona” (che Pasolini vi perdoni e ci perdoni) e sminuire quindi la bellezza che si confà alle feste natalizie.
La “sporcizia”, dunque, sotto il tappeto e sopra tutti belli e sorridenti, inghirlandati e pieni di vischio a cantare gli stornelli della vigilia, a scambiarsi regali e a fare buoni propositi ascoltando la benedizione papale della messa non più di mezzanotte ma delle ventuno e venti su Rai Uno.
La sporcizia… così, come qualcosa di brutto, da nascondere, da allontanare dalla vista; così sono vissute le persone che vivono dormendo su una panchina con tre gradi di temperatura intorno: il perbenismo egoistico vince sul messaggio del Natale, ma vince forse ancora di più su un senso laico di umanità che dovrebbe portare i cittadini di Como (e tutte e tutti noi, chiunque indistintamente) a considerare i diversi da noi come esseri umani proprio come noi.
Nel bellissimo film di Luigi Magni “L’anno del Signore”, un integerrimo cardinale Rivarola, cacciatore di briganti e difensore dell’integrità statuale del regno pontificio, parlando con un umile ciabattino presuntamente analfabeta, segretamente alfabetizzato, gli si rivolge per consolarlo dell’abbandono della sua donna, una “giudia”: “Eh, caro Cornacchia, ti rivelerò una cosa che al mondo ancora nessuno sa: io credo che questi giudei siano persone proprio come noi.”.
C’è sempre uno stupore da parte del mondo nello scoprire che siamo tutti uguali, che non vi sono differenze anche se noi le percepiamo grazie al pregiudizio che è insito nell’animo umano come una specie di malefico anticorpo che ci dovrebbe tutelare dalla minaccia rappresentata dall’incosciuto ma anche dal diverso, da chi non accetta una medesima comportamentalità nella vita di tutti i giorni, da chi fuoriesce dai canoni della maggioranza.
E la minoranza, così, per guadagnarsi il diritto ad essere considerata quanto meno tale, quanto meno “dignitosa”, deve lottare per decenni, per secoli, a volte anche per millenni per affermare una banalità, una semplicità – brechtianamente parlando – che “è difficile a farsi”.
Così, in questo civilissimo 2017, in questa civilissima civiltà occidentale, i migranti sono il nuovo cliché adottato dal razzismo rinnovato, moderno modello su cui incentrare tutte le colpe di una società che produce centinaia di milioni di poveri e sfruttati che vengono vissuti come nemici da altrettanti sfruttati che hanno la sola “fortuna” di vivere nella parte meno misera del mondo.
Ormai lo vado dicendo da alcuni editoriali a questa parte, dopo aver studiato per anni il periodo storico che va dal 1917 al 1946: non bisogna stupirsi della crudeltà umana ma bisogna indignarsi. Non bisogna stupirsene perché sappiamo che gli esseri umani sanno principalmente provare, come sentimento dominante e costituente la loro incoscienza, un odio che discrimina, che seduce chi è pigro mentalmente e non vuole approfondire le cause degli eventi che accadono intorno a noi e nel resto del pianeta.
Ma bisogna, invece, continuare ad indignarsi perché questo lato oscuro dell’essere umano non deve prevalere: qui purtroppo i Jedi c’entrano poco e niente. Ma l’esperienza, dunque la storia, ci insegna che ogni volta che non si è riusciti a controllare le grandi crisi economiche, la disperazione di massa, questa è stata utilizzata dal capitalismo per distrarre gli sfruttati dal compito di unirsi e rovesciare il sistema, facendosi guerra tra loro, autodistruggendosi.
Poco importava se a generare le conseguenze di una inflazione devastante era un imbianchino austriaco naturalizzato tedesco come Adolf Hitler. Ciò che interessava era che i comunisti non arrivassero al potere, non riuscissero nell’intento di svelare l’inganno del capitalismo: mostrarsi come l’unica società possibile nell’impossibilità di gestire la società stessa.
La concezione proprietaria è la base dell’insoddisfazione generale: pretendiamo di essere proprietari di tutto, un tempo anche di altre persone chiamate “schiavi”… Ci sono voluti quei millenni di cui scrivevo sopra per liberarsi di una stortura antimorale e inumana come lo schiavismo.
Speriamo che non ci vogliano proprio millenni per riportare a Como la solidarietà che è umanesimo, che vuol dire per chi si definisce cristiano e per chi si definisce molto semplicemente umano, fornire un aiuto a chi soffre una condizione disagiata. Riscoprirsi uguali nelle differenze: due valori che creano una straordinaria unità di classe. Quella di tutti coloro che non sfruttano nessun altro essere vivente per fare profitto contro coloro che invece lo fanno.
Buon Natale, Como.
MARCO SFERINI
20 dicembre 2017
foto tratta da Pixabay