In realtà per l’ampiezza della repressione che negli anni Trenta colpì soprattutto i protagonisti della rivoluzione, lo stalinismo superò di gran lunga lo zarismo. Ma il regime staliniano non era un frutto sia pur avvelenato della rivoluzione, era una vera controrivoluzione, che per affermarsi e consolidarsi ebbe bisogno di parecchi anni e di sterminare la maggioranza dei dirigenti della rivoluzione. Da un mio libro, Intellettuali e potere in URSS. 1917-1991 (Milella, Lecce, 2a ediz. 1995, ora sul mio sito, Vedi qui e per la cronologia qui) ho ricavato alcuni dati che rendono l’idea delle dimensioni della strage di militanti e permettono una datazione della eliminazione di gran parte del gruppo che era stato protagonista della rivoluzione di Ottobre. Non entro qui nella discussione sull’ampiezza della strage di militanti di base e di “senza partito”. Quando si parla di milioni, le cifre sono sempre approssimative e contestabili (senza intaccare il giudizio morale), mentre è più facile capire la rottura tra Stalin e la rivoluzione partendo dalle cifre dello sterminio dei dirigenti. Una periodizzazione è inoltre indispensabile per non retrodatare arbitrariamente gli orrori dello stalinismo, confondendoli con le durezze inevitabili in qualsiasi guerra civile, in cui in molte situazioni non c’è altra scelta che uccidere o essere uccisi.
Il velo di mistificazioni steso dalla storiografia sovietica «ufficiale» non riesce a nascondere la realtà della soppressione della «vecchia guardia» bolscevica che aveva diretto il partito alla vigilia e nel corso della rivoluzione. Dei 21 membri del Comitato centrale eletto al VI Congresso del partito, nell’agosto 1917, solo 6 sono morti per cause naturali (Lenin, Sverdlov, Dzeržinskij, Artem, Kollontaj e Stalin), due furono assassinati dalla controrivoluzione (Urickij e Šaumian), gli altri caddero vittime del terrorismo staliniano. Se si prende in esame la composizione del Comitato centrale del Partito comunista tra il 1918 e il 1921, risulta ancora più grande la dimensione dello sterminio operato da Stalin: su 31 membri, solo 9 sono morti per cause naturali e uno (la Stasova) è stato vittima del terrore staliniano, ma è rimasto in vita, mentre gli altri sono stati uccisi o sono stati costretti al suicidio, come Tomskij. Se si esamina l’Ufficio politico (cioè il massimo organo di direzione) eletto nel 1917, su 7 persone due sole (Lenin e Stalin) sono morte per cause naturali, mentre le altre sono state uccise per ordine di Stalin. Lo stesso dato si riscontra a proposito dei membri dell’Ufficio politico nel periodo 1918-1923: 8 su 10 sono stati vittime della repressione staliniana. Come si vede, pur senza una data «spartiacque» che consenta di separare nettamente la fase rivoluzionaria dall’involuzione staliniana, le dimensioni della distruzione del gruppo dirigente rivelano una cesura netta, una soluzione di continuità che non può essere ignorata. D’altra parte, lo sterminio del vecchio nucleo comunista da parte di Stalin e dei suoi collaboratori raggiungerà dimensioni inimmaginabili negli anni Trenta, colpendo gran parte degli stessi dirigenti che avevano inizialmente avallato la prima fase della repressione. Nel 1935 la rottura col passato bolscevico si concretizzerà in una misura di innegabile significato emblematico: lo scioglimento dell’Associazione dei vecchi bolscevichi e di quella degli ex deportati politici dell’epoca zarista. [Cfr. Mihail GELLER, Aleksandr NEKRIC, Storia dell’Urss dal 1917 a oggi. L’Utopia al potere. Rizzoli, Milano, 1984, p. 322].
Comunque la repressione comincia solo dopo il 1934, anche qualche uccisione di singoli militanti di opposizione si erano avuti a partire dal 1929, suscitando ancora indignazione quando si conobbero.
Ad esempio Jakov Bljumkin, che quando era ancora un socialista rivoluzionario di sinistra aveva ucciso l’ambasciatore tedesco per far saltare la pace di Brest Litovsk, ed era stato condannato a morte in contumacia e poi graziato, venne fucilato nel 1929, al ritorno in Urss da un viaggio in Turchia, nel corso del quale aveva incontrato Trotskij (è la prima vittima del nuovo clima, che considera un reato gravissimo persino un colloquio con uno dei dirigenti comunisti messi al bando) (cfr. Roy MEDVEDEV, Gli ultimi anni di Bucharin, Editori Riuniti, Roma, 1979, p. 141 e Victor SERGE, Memorie di un rivoluzionario, a cura di Attilio Chitarin, Oscar Mondadori, Milano, 1983, pp. 254-255). Una singolare testimonianza sul Bljumkin infuocato dei primi anni rivoluzionari si trova in Nadežda MANDEL’ŠTAM,L’epoca e i lupi. Memorie, a cura di Giorgio Kraiski, Mondadori, Milano, 1971, pp. 121 sgg.
In realtà l’involuzione era cominciata per ragioni oggettive (soprattutto proiettando su tutta la società i metodi e le concezioni militaresche che si erano affermate nel corso della guerra civile). Ma fino al 1921 il partito comunista aveva affrontato prove terribili e rischi mortali senza rinunciare alla democrazia interna, che prevedeva anche il diritto di frazione. Si può parlare di un vero e proprio salto di qualità a partire dall’inizio degli anni Trenta, dovuto al moltiplicarsi di nuclei di opposizione nello stesso gruppo dirigente staliniano che si presentava come “vincitore” di tutte le opposizioni. In realtà, nascosto nella stampa ufficiale, ma ben conosciuto dai quadri intermedi del partito, c’era il bilancio della politica settaria che aveva facilitato il successo di Hitler, e la catastrofe della collettivizzazione forzata con milioni di morti e di deportati, e il sottoprodotto di una spaventosa carestia.
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ANTONIO MOSCATO
foto tratta da Pixabay