Quando una multinazionale come Ikea minaccia di chiamare i carabinieri nel corso di uno sciopero, per una bruttissima storia di licenziamento individuale di una madre coraggio, caso subito finito in Parlamento, e con il governo che per bocca di Teresa Bellanova si dice pronto a intervenire, il segnale è chiaro: «La morale che se ne trae – osserva Marco Beretta della Filcams Cgil di Milano – è che le esigenze dell’azienda devono andare sopra ogni cosa, perfino sopra quelle di una madre con un figlio disabile che oggettivamente non può coprire un turno che inizia alle sette del mattino. Poi, più in generale, il fatto che dopo il jobs act le aziende si sentono più libere di poter licenziare, anche per chi conserva l’articolo 18 come questa lavoratrice, che è in Ikea da ben 17 anni».
Eppure Marica Ricutti 39 anni, laureata in scienze alimentari, impiegata nel megastore milanese di Corsico con una carriera inappuntabile («Mai ricevuto un richiamo, una contestazione, un appunto che sia uno»), è stata messa alla porta «per giusta causa». «Secondo l’azienda – ha raccontato all’Huff Post e all’edizione milanese web di Repubblica – era venuto meno il rapporto di fiducia, perché non ce la facevo a lavorare dalle 7 del mattino in un nuovo reparto, e allora avevo ripreso a fare i miei vecchi orari, iniziando alle 9».
La donna, separata con due figli di 10 e 5 anni, quest’ultimo disabile («motivo per cui ho la 104»), era impiegata al bistrot ma da qualche mese era stata trasferita al ristorante del primo piano del grande punto vendita della multinazionale. Proprio questo cambio di reparto, con l’orario anticipato di due ore, l’ha messa per forza di cose in crisi: i bambini da portare a scuola, e soprattutto le cure per l’ultimogenito, non si conciliavano con l’entrata al lavoro all’alba. Le rassicurazioni avute prima del cambio di reparto in merito alla conciliabilità degli orari di entrata («all’inizio mi hanno detto di sì e che non ci sarebbero stati problemi, poi le cose sono cambiate») sono rimaste parole, portate via dal vento.
Nella lettera di licenziamento, Ikea sottolinea che è venuto meno il rapporto di fiducia in due occasioni in cui la dipendente si sarebbe presentata al lavoro in orari diversi da quelli previsti: una volta due ore in anticipo, l’altra due ore in ritardo. Eppure la donna, che aveva chiesto a più riprese una maggiore flessibilità, si era detta pronta anche a nuovi sacrifici («ho spiegato che non volevo essere privilegiata, che ero disponibile a lavorare in tutti gli altri turni, compreso quello di chiusura, che per me non è agevole finendo a tarda sera, ma che comunque lo avrei fatto»). Ma la multinazionale non ha sentito ragioni.
Ieri a Corsico si è scioperato. «È andato benissimo – riepiloga Beretta – doveva essere di un’ora e lo abbiamo prolungato di un’altra ora. In questo lasso di tempo l’azienda si è presentata ai lavoratori in agitazione, invitandoli a parlare solo con il responsabile del personale invece che con i rappresentanti sindacali. Abbiamo chiesto chiarimenti, vista l’irritualità dal caso, ma non ci hanno ricevuto. Ora valuteremo se ci sono i presupposti per una vertenza per comportamento antisindacale. E il 5 dicembre prossimo faremo un presidio con volantinaggi davanti all’entrata di Ikea».
Da parte sua Marica Ricutti ha impugnato il licenziamento, assistita dalla Filcams Cgil. E il caso è già in Parlamento: «Abbiamo depositato una interrogazione per chiarire le motivazioni che hanno spinto Ikea a licenziare una madre separata con due figli piccoli, di cui uno disabile – annuncia Titti Di Salvo, vicepresidente dei deputati Pd – perché, proprio nel giorno in cui arrivano i dati sulla natalità, c’è questa vicenda su cui deve essere fatta chiarezza». Alle prese di posizione molto critiche di Mdp, Si e Rifondazione si aggiunge quella della Cisl, con una denuncia a chiare lettere della segreteria generale Anna Maria Furlan. Anche il governo è intervenuto, con la viceministra Teresa Bellanova che si è detta disponibile a un incontro con i sindacati e l’azienda. Un’Ikea che ora annuncia di stare «valutando» la situazione. Perché la figuraccia diventa, di ora in ora, sempre più grande.
RICCARDO CHIARI
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