Passati alcuni giorni dall’eutanasia praticata all’esperimento “dal basso” del Brancaccio, è opportuno fare qualche riflessione in merito e cercare di capire come mai dall’entusiasmo di giugno per un percorso partecipato e orizzontale si sia giunti all’annichilimento di quel poco che sembrava poter essere l’inizio se non proprio del “molto”, quanto meno del “sufficiente” per ricreare le condizioni di assemblaggio di tante realtà in regime di diaspora quasi perenne.
Anna Falcone e Tomaso Montanari danno di ciò due spiegazioni parzialmente differenti: sono interpretazioni soggettive di una fine che non poteva non essere tale, a loro dire, per via della decisione di Mdp, Sinistra Italiana e Possibile di creare la nuova proposta di sinistra alternativa agli altri poli non sulla base di un consesso egualitario in tutti i sensi e su tutti i piani, bensì col classico metodo delle spartizioni in base alle quote di rappresentanza fondate sul “peso elettorale” calcolato magari sondaggisticamente o per le presenze ereditate in Parlamento da pregresse scelte di vecchie alleanze con il PD alle ultime politiche.
Certe rendite di posizione finiscono quasi sempre per avere un valore politico – organizzativo pur essendo, alla fine della fiera, un disvalore in quanto a rapporto di pariteticità in merito alla classica immagine del “tavolo comune” attorno al quale sedersi per costruire qualcosa di innovativo, di mai visto prima.
Ed è proprio sulla mancata ricerca della nuova via da percorrere anche organizzativamente che naufraga il Brancaccio: da un lato Montanari, Falcone, molte realtà civiche e anche singole insieme all’unico partito rimasto a difendere lo “spirito originario” dell’assemblea di giugno, Rifondazione Comunista; dall’altro lato le forze parlamentari scissesi dal PD in tempi differenti che individuano nell’accordo di vertice e nel cencellismo il metodo di costruzione del nuovo soggetto politico che dovrà avere nascita e vita dal 2 dicembre prossimo e il cui leader dovrebbe essere l’attuale Presidente del Senato della Repubblica, Pietro Grasso.
Dunque, così stando le cose, sembrerebbe una rottura nata per ragioni di metodo piuttosto che di merito. Invece, approfondendo i motivi della divisione (prima ancora di quelli dello scemare del progetto originario del Brancaccio) si può notare come da parte di Mdp, Sinistra Italiana e Possibile vi sia un patto federativo che ha due scopi ben precisi: naturalmente oltrepassare l’asticella del 3% contenuta nel Rosatellum e, con questo presupposto-pretesto, creare le condizioni per una unità della sinistra da mostrare agli elettori in quanto tale.
Eccola, dunque, la sinistra di alternativa moderna secondo i modernissimi loro autori: sono più o meno tutti ex ministri dei governi precedenti, sostenitori delle politiche del PD fino a poco tempo fa quando, con il referendum del 4 dicembre scorso, alcuni di loro scelsero di rompere definitivamente con Renzi e di schierarsi per il NO.
Scelta saggia, anche se tardiva, ma comunque opportuna e che ha consentito di salvare la Costituzione da uno stravolgimento che pareva irrefrenabile.
Quella di D’Alema e Bersani è una sinistra che ha accettato più volte il liberismo temperato, una critica del capitalismo con tanti se e tanti ma, attenta a coniugare le esigenze di governo con quelle dello stabilimento di una connessione politico-sentimentale con un popolo alla ricerca di una sinistra ancora una volta nevroticamente attorcigliato sull’esigenza di “salvare il Paese dalle destre”.
E mentre in questi anni ci si preoccupava di salvare il Paese dal centrodestra, di destre non propriamente dette ne sono cresciute altre due: una di governo che ha eseguito i piani europei senza controbattere; una di protesta che ora viaggia negli Stati Uniti per accreditarsi come forza di governo tanto presso l’amministrazione della Repubblica stellata quanto presso il Vaticano.
Davanti a queste tre destre, la creazione di quello che abbiamo chiamato a lungo il “Quarto polo” della sinistra di alternativa pareva una necessità, oltre che incombente e non rimandabile, anche un dovere sociale e politico.
Offrire una proposta ai cittadini che permettesse di andare alle urne, di ridimensionare la disaffezione crescente verso la rappresentanza politica parlamentare e le istituzioni in generale, affermando con chiarezza l’alterità che sarebbe stato il “Quarto polo”: diverso da tutti gli altri tre, in assoluta alternativa al centrodestra, al PD e al Movimento 5 Stelle.
Oggi questa ipotesi tramonta perché un quarto polo formato da Mdp, Sinistra Italiana e Possibile, pur ponendosi come alternativa a tutto ciò, non inserisce ad esempio nel suo programma il superamento della Legge Fornero e non esclude che, in presenza di un cambiamento di segretaria o di rotta del PD, si possa dialogare con l’attuale partito di maggioranza del governo.
La rottura del Brancaccio, pertanto, avviene anche su un piano metodologico ma è essenzialmente il disvelamento di differenze programmatiche dettate da intenzioni ben precise nella voglia di rappresentanza politica presso l’elettorato. Il governismo torna ad essere il punto di partenza e non di arrivo di un progetto politico: ogni sforzo deve essere fatto non per consegnare alla sinistra il ruolo antiliberista che è l’unico a renderla degno di tale nome, ma un carattere di “modernità” capace di mostrare il rifiuto del renzismo ma anche l’apertura al dialogo con chi sia disponibile a ricostruire un progetto ormai morto e sepolto, riesumabile solo in forma di “zombiesmo”: il centrosinistra.
Per questo occorre andare oltre il progetto del “Quarto polo”, perché esiste sempre una opzione successiva e magari migliore perché vuole rifarsi veramente alle radici del progetto originario del Brancaccio che non scopriva nulla di nuovo, del resto, ma che rilanciava una voglia di unità veramente costruita senza pensare che il primo obiettivo fosse il governo a tutti i costi. Così facendo si finisce sempre col scendere a compromissioni veramente pericolose, snaturanti i presupposti originari di una offerta politica anche netta e chiara.
Dopo il quattro viene il cinque e, pertanto, dobbiamo ora puntare alla “Quinta opzione”, al “Quinto polo”, dimenticandoci la progressività numerica e facendo in modo tale che questa idea di sinistra di alternativa rappresenti davvero un ritorno alle origini, alla concezione “rivoluzionaria” tanto della storia quanto del presente e dei rapporti sociali esistenti.
Un recupero delle origini basato sul convincimento scientifico che si può formare coscienza sociale partendo dai singoli individui mediante una visione dei rapporti di forza reali e non mediati da schermi deformanti chiamati, di volta in volta, “modernità”, “voto utile”, “pace sociale”, “crescita economica”… Tutti fenomeni apparenti di una socialità che non è tale e che serve solo a mascherare il moderatismo incapace di unire interessi dei lavoratori e dei disoccupati, dei precari e dei più deboli di questa società con le necessità speculative del mercato, del profitto, dello sfruttamento becero.
La via socialista europea al cambiamento ha dimostrato fin qui d’essere il migliore distruttore del consenso popolare verso politiche che sono risultate essere antipopolari. Il varco alle destre non l’hanno aperto le forze comuniste e anticapitaliste ma semmai proprio quei soggetti politici che hanno sempre provato a denigrarci sostenendo che a far vincere i fascisti eravamo noi.
Noi non vogliamo essere una sinistra apparente ma sostanziale, concreta nella sua apparente utopia di cambiamento radicale, a centottanta gradi di ciò che oggi esiste, ma lontana dalla vera utopia: quella che si possa tenere insieme un insieme di valori che fanno riferimento all’eguaglianza sociale con i fondamenti dell’economia di mercato.
Tutto ciò potrà anche un giorno riportare le forze della sinistra moderata al governo del Paese ma sempre e solo per gestire gli interessi dei padroni e mai quelli del moderno proletariato.
Dunque, la “Quinta opzione” va messa in cantiere, presto e subito. Senza più tentennamenti. I moderati ci hanno fatto perdere troppo tempo. Troppo davvero.
Cantava De Andrè: “Voi non potete fermare il vento, gli fate solo perdere tempo”. Cantiamo, lavoriamo e lottiamo per un nuovo progetto antiliberista, anticapitalista. Quindi di sinistra. Vera.
MARCO SFERINI
16 novembre 2017
foto tratta da Pixabay