Si stanno svolgendo molti eventi sulla rivoluzione bolscevica. Pochissimi quelli nostalgici, molti invece quelli che usano l’anniversario per rispolverare antichi odi. Descritti sono i capi, da un lato il prediletto Kerenski che avrebbe evitato l’estremismo bolscevico e dall’altro Lenin e Trotsky, gli autori del «colpo di stato» è prolungatosi fino al 1991. Intanto è riemersa la famiglia reale, giustiziata dall’ebreo Sverdlov, ed oggi santificata.
A leggere le ricostruzioni dei mass media, i programmi dei convegni ti chiedi dove sono finiti gli operai e i contadini, in nome dei quali Lenin fece la rivoluzione e cioè si impadronì del governo e dello stato. La loro assenza non riguarda solo l’anniversario dello sciopero delle officine Putilov o dell’occupazione delle terre, pur a volte sfiorati. È la presenza operaia e contadina ad essere quasi assente nella ricostruzione ufficiale.
Non è così per gli intellettuali e per i politici bolscevichi. Molti sono i libri di denuncia o esaurienti ricerche storiche sui processi cui vennero sottoposti gli avversari del successore di Lenin, e appassionate discussioni intercorrono tra gli esperti occidentali sul numero di «lavoratori della mente», sui poeti, sugli artisti, finiti nei lager insieme ai criminali comuni e agli ex contadini ricchi.
A Stalin infine si imputa lo sterminio per fame di milioni di contadini ucraini e anche questo ‘compito’ fu affidato ad un ebreo l’ucraino Kaganovic, uno tra i suoi più fedeli politici professionali.
Ma gli operai? Gli attori della rivoluzione proletaria? Tutti nei gulag anche gli operai? Se così fosse avrebbero meritato l’attenzione degli storici occidentali. I quali invece se ne sono interessati pochissimo: Sheila Fitzpatrick per spiegare l’origine operaia del ceto politico dirigente voluto da Stalin, e David Filtzner per analizzare le leggi anti operaie sul libretto di lavoro, e le misure sulle infrazioni.
Mi è capitato di chiedere al bravissimo Filtzner (scappato in Europa per non andare in Vietnam) se era mai entrato in una fabbrica sovietica. La risposta fu: purtroppo no. Se vi fosse entrato avrebbe capito che le leggi draconiane erano disattese innanzitutto dai dirigenti ex operai, dai sindacati, dalla cellula del partito.
All’epoca dell’industralizzazione la fame di lavoro era tale che gli operai delle grandi fabbriche erano circuiti con benefit (un orologio, un taglio di stoffa, un tagliando per “lotterie”) perché non lasciassero il posto per un’altra fabbrica che aveva promesso un di più. Il padre di Putin, operaio modello, fu premiato con un appartamento e gli fu perfino fatta vincere un’automobile ad una lotteria.
Quando in Urss ti capitava di essere portato a visitare una fabbrica due cose ti colpivano: la prima erano gli enormi cartelloni con le facce degli operai modello che dovevano essere di sprone, e la seconda era il clima di disinteresse per il lavoro da fare. E il «capoccia», non c’era un caposquadra? C’era e aveva il comportamento giusto per quel clima, un dare per avere.
Altro che minacce di licenziamenti e multe come nelle fabbriche occidentali. Se la sua squadra gli faceva il piacere di consegnare nei termini della norma il lavoro assegnatogli, allora qualcosa sottobanco sarebbe andata a tutti. Degli operai modello – udarniki, stakanovisti – si diffidava, servivano a far aumentare le norme di lavoro e spesso andavano via, scelti per far carriera nel sindacato, nel partito.
E dunque Lenin aveva fatto la rivoluzione per il socialismo e Stalin aveva messo il socialismo nelle mani degli ex operai e contadini, ma è sul risultato che a cento anni di distanza manca il semplice racconto su quello che è successo al socialismo di Lenin con gli ex operai al governo e gli operai invece al lavoro.
Molte lacrime abbiamo trattenuto per il destino di Babel, un po’ meno per la moglie di Bucharin. Detto ciò rimane da chiedersi che cosa sappiamo di coloro in nome dei quali i Babel sono stati sacrificati. Veramente poco.
E dalle statistiche apprendevamo quanti chili di carne mangiavano, i metri abitativi per abitante e il confronto con i livelli europei era solitamente sfavorevole per i sovietici. Intanto però nessuno metteva in dubbio fosse stata raggiunta la parità strategico-militare dell’Urss con l’altra potenza, o la sua capacità di viaggiare nello spazio come l’America. E dunque esistevano tecnici e operai di livello pari ai loro avversari, al lavoro in località ancora più inaccessibili di quella in cui gli americani avevano costruito la prima bomba atomica.
Nel resto del paese operai, contadini, impiegati, insegnanti, medici sperimentavano la gestione popolare di governi affidati a ex operai come gli ucraini Kruschev e Brezhnev. Quando dalla provincia russa arrivò uno con la laurea in legge come Gorbachev, s’intestò di far funzionare l’Urss alla maniera occidentale e l’Urss sparì.
Tornò la Russia e gli operai presero a essere considerati unità di lavoro, in balia del mercato, licenziati e assunti, senza più l’ideologia della rivoluzione a legittimare il loro stare in fabbrica come nessun operaio mai prima era stato, libero di lavorare oppure di fermare la catena di montaggio per farsi una sigaretta. Ne sono stata testimone.
RITA DI LEO
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