«Noi, senatrici e senatori, ci troviamo a decidere ogni giorno, con il nostro voto, se approvare o no un emendamento, se dire sì o no a una legge. In questa funzione siamo garantiti dalla Costituzione, che ci assicura una piena libertà di mandato. Questa grande libertà accresce di molto la nostra responsabilità e non dobbiamo sprecarla nel gioco degli interessi o nel commercio delle idee». Il capogruppo del Pd Zanda recitato queste parole nell’aula del senato, ricordando solennemente Guido Rossi. Pochi minuti dopo la ministra Finocchiaro a nome del governo e su richiesta del Pd chiede la fiducia su cinque dei sei articoli della legge elettorale (un articolo è immodificabile). Abbatte così di colpo tutti gli emendamenti e la possibilità del senato di discutere e votare le nuove regole con le quali tra pochi mesi si eleggerà il parlamento.
All’annuncio della fiducia, la capogruppo di Sinistra italiana De Petris si fa largo tra i commessi e corre a occupare la sedia del presidente Grasso, i 5 stelle si mettono una benda sugli occhi. Ma se la fiducia è un bavaglio, lo è soprattutto sul dissenso interno al Pd. Molti senatori dem hanno ormai capito che con il Rosatellum possono dimenticare la rielezione e nel voto segreto avrebbero potuto pesare, uniti ai delusi berlusconiani. Non sarebbero stati tanti i voti segreti, una decina, ma anche uno solo avrebbe esposto la corazzata Pd-Forza Italia-Lega e centristi a qualche rischio. E sarebbe stato difficile chiudere entro la settimana, prima cioè del voto siciliano.
La richiesta delle cinque fiducie – un record – abbatte prima della partenza la discussione generale sulla legge Rosato. Niente dibattito, non in commissione (per la diserzione della maggioranza) e nemmeno in aula. Mentre De Petris scala la presidenza – anche perché Grasso non le concede la parola in replica alla richiesta di fiducia – la conferenza dei capigruppo si apre con la richiesta delle opposizioni di poter almeno svolgere il dibattito sulle fiducie. Così ieri sera in un aula svuotata dai senatori Pd e forzisti, si succedono gli interventi di Sinistra italiana, M5s e Mdp. E di un solo Pd, Lumia, critico che però voterà sì. Oggi (a mezzogiorno) interverrà l’ex presidente Napolitano con le annunciate critiche alla fiducia e nel merito della legge. Scelta obbligata quella del senatore di diritto, perché nell’unico spazio di intervento sulla legge – quello prima della votazione finale che è prevista domani mattina – dovrà intervenire il presidente del suo gruppo (le Autonomie) che invece è più che favorevole alla legge, visto che cristallizza il trattamento di favore per i sudtirolesi di Svp. Dalle 14 di oggi pomeriggio in poi una sequenza di appelli per la fiducia, cinque, senza dibattito, segnerà il mesto approdo del Rosatellum alla meta. Fuori, in piazza Navona, la protesta grillina che poi si sposterà al Quirinale.
Al Quirinale sono saliti ieri pomeriggio i capigruppo di Mdp per formalizzare al presidente Mattarella la loro uscita dalla maggioranza. In altri tempi la sostituzione di un gruppo, i bersaniani, con un altro, i verdiniani, richiederebbe una verifica tra Colle e parlamento. Non a poche settimane dallo scioglimento della legislatura. Non con la sessione di bilancio aperta.
Il governo ha poco o nulla da temere sulle fiducie. Anche se una decina di senatori del Pd hanno intenzione di disertare il voto, per protesta contro il merito della legge (liste bloccate, divieto di voto disgiunto) e il metodo della fiducia. Tra gli altri Chiti, Tocci, Manconi, Mucchetti – cioè la parte rimasta nel Pd di quei senatori che non votarono l’Italicum (l’altra parte ha seguito la scissione di Bersani) – più gli eletti all’estero (Micheloni, Turano). E così i numeri per Gentiloni rischiano di fermarsi abbondantemente sotto la soglia della maggioranza assoluta (161) malgrado il sostegno dei 13 senatori verdiniani di Ala. Pochi voti, comunque sufficienti a evitare la crisi perché Forza Italia e Lega non voteranno contro il governo e probabilmente troveranno anche il modo di partecipare alle votazioni per evitare di far saltare il numero legale (eventualità possibile nel caso il resto delle opposizioni decidesse di uscire dall’aula). Per una nuova prassi – consentita nelle ultime tre votazioni a palazzo Madama sulla fiducia – è adesso possibile sfilare sotto la presidenza senza votare, distinguendo così anche al senato l’astensione dal voto contrario. Al Rosatellum serve anche questo.
ANDREA FABOZZI
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