L’intenzione è quella di far approvare la nuova legge elettorale già questa settimana alla camera. In aula arriva martedì pomeriggio, la commissione ha chiuso i lavori ieri mattina senza sorprese, del resto impossibili visto che il sodalizio a quattro che sostiene questa riforma last minute – Pd, Fi, Ap e Lega (ma ci sono anche un po’ di neogruppi come Ala, amici di Fitto, Civici e innovatori) – ha il 70% dei voti in commissione. E solo qualcosa in meno in aula, dove però ci saranno soprattutto voti segreti.
La corsa a chiudere già la prossima settimana si spiega guardando il calendario del senato, che dai primi di novembre e per un mese è tutto dedicato alla sessione di bilancio, e considerando che una volta approvata la legge servirà almeno un mese di tempo per disegnare i collegi. Tutto però potrebbe crollare per mano dei franchi tiratori, che la minoranza dei contrari – 5 Stelle, Mdp e Sinistra italiana – cercherà di indurre in tentazione con gli emendamenti (da depositare entro lunedì). Questa volta però, a differenza che nei precedenti e naufragati tentativi, il lavoro di commissione ha accontentato tutti i sostenitori del Rosatellum contenendo così i rischi.
Ieri sono stati approvati gli emendamenti che escludono Mdp dall’obbligo di raccogliere le firme per la presentazione delle liste e dimezzano il numero necessario per i partiti non rappresentati in parlamento (Pisapia ringrazia). Inoltre è passata almeno una delle semplificazioni burocratiche che chiedeva il presidente della commissione Mazziotti, con l’appoggio “esterno” dei radicali: anche gli avvocati patrocinanti in Cassazione potranno fare da autenticatori; niente da fare invece per le firme digitali.
Forza Italia ha ritirato l’emendamento che mirava a fare del leader del partito più votato il capo della coalizione – figura che in questa legge non è prevista a conferma della transitorietà delle coalizioni. Bocciato senza storia l’emendamento – assai discutibile – dei 5 Stelle, in base al quale non sarebbe stato possibile indicare come capo della forza politica chi si trova in condizioni di ineleggibilità per legge Severino. Pensato per escludere Berlusconi, che invece potrà agevolmente rientrare in parlamento una volta ottenuta la riabilitazione, grazie alle elezioni suppletive previste per i collegi uninominali, l’emendamento grillino passa sopra il fatto che alle ultime elezioni proprio i 5 stelle hanno indicato come capo della coalizione Beppe Grillo, ineleggibile secondo le loro stesse regole perché condannato.
Come anticipato venerdì dal manifesto, una delle novità del Rosatellum è il recupero dei candidati sconfitti nell’uninominale. Con un meccanismo che smentisce di nuovo l’impostazione maggioritaria propagandata dal Pd (già limitata a un terzo dei seggi in palio). E conferma invece che i collegi uninominali in questa legge sono solo uno strumento per indirizzare le preferenze sulle liste dei candidati sostenuti da una (finta) coalizione, a tutto danno dei 5 Stelle e della sinistra non alleata con il Pd. La legge prevede un complesso sistema per far fronte all’eventualità che una lista si trovi con meno candidati dei seggi che ha conquistato. Eventualità non impossibile, già verificatasi nel 2001, allora per responsabilità delle liste “civetta”. Questa volta invece potrebbe capitare che una delle liste maggiori (Pd in Toscana o Forza Italia in Lombardia) in un collegio dove può fare il pieno dei voti – siano questi voti diretti sul simbolo del partito o “indiretti”, come quelli andati al solo candidato all’uninominale o alle liste “sotto soglia” (cioè tra l’1% e il 3%) -, possa trovarsi con il listino troppo corto. I listini bloccati per il proporzionale sono infatti al massimo di quattro candidati, mentre i seggi da assegnare in ogni collegio proporzionale possono arrivare fino a otto.
In casi del genere la volontà dell’elettore viene stravolta dalla necessità di assegnare il seggio. Se una lista non avrà candidati sufficienti, in prima battuta si prenderanno i non eletti della stessa lista in un collegio della stessa circoscrizione. Ma in seconda battuta rientreranno in gioco i candidati di quella lista sconfitti nell’uninominale in quel collegio o, non essendocene, in quella regione. Anche chi perde, cioè, può sperare di vincere il seggio; del resto, specularmente, con la precedente proposta Pd (Tedeschellum) chi vinceva nell’uninominale non era per questo sicuro di entrare in parlamento. Questo genere di complicazioni del Rosatellum dipendono dalla scelta di escludere le preferenze, così come dipende dal divieto del voto disgiunto la surreale necessità di scrivere le avvertenze agli elettori sul retro della scheda elettorale. Tortuosità che certamente appesantiranno e ritarderanno di molto lo spoglio nella notte elettorale, aprendo la strada a una moltiplicazione dei ricorsi.
ANDREA FABOZZI
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