L’ipotesi della ricostruzione da sinistra di un nuovo ambiente politico di centrosinistra è l’elemento divisivo per eccellenza nell’apertura di una stagione di ridefinizione del campo della sinistra di alternativa.
La contezza di questa volontà da parte di Articolo 1 – MDP e di Campo progressista dovrebbe essere ormai una percezione comune, quindi manifesta.
L’evidenza è ormai così certa da mettere in campo l’ipotesi che Pietro Grasso, attuale Presidente del Senato della Repubblica e membro del gruppo del PD, possa rivestire il ruolo che fino ad ora non è riuscito completamente a nessuno dei fuorisciti dal partito renziano e nemmeno all’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia.
Le ipotesi strategiche in campo, diciamo “a sinistra del PD” per usare una formula non proprio consona ma comprensibile ai più, si riducono dunque a due scenari: 1) la formazione di una lista unitaria che vada da Rifondazione Comunista ad MDP con obiettivo la ricostruzione, per l’appunto, del nuovo centrosinistra da cui – secondo D’Alema – discende che un dialogo con il PD occorrerebbe sempre tentarlo; 2) una forza politica di sinistra di alternativa che escluda per profilo programmatico e ideologico ogni ricostituzione del centrosinistra e che, quindi, derubrichi qualunque rapporto con il PD.
Le volontà politiche attuali si riducono, in sintesi, a queste due ipotesi: la prima sembra molto improbabile visto che non esiste una benché minima sintonia tra Rifondazione Comunista e le posizioni di MDP che, va ricordato, attualmente siede in Parlamento nelle fila della maggioranza di governo.
La seconda ipotesi è quella che condurrebbe alla formazione di due liste “a sinistra del PD” che si contenderebbero uno spazio politico difficile da quantificare, da ipotizzare. Certamente oggi questo luogo di espansione della sinistra di alternativa non è così vasto come si potrebbe immaginare: ma esiste e se non viene utilizzato e riempito con una forza rappresentativa dei valori sociali, egualitari e solidali, si rischia di consegnare centinaia di migliaia di consensi al trasversalismo interclassista del movimento 5 stelle o all’astensione dal voto.
Se altri hanno incentivato la disaffezione dalla partecipazione popolare ai processi politici e sociali, noi gente di sinistra, noi comunisti non possiamo e non vogliamo farlo. Anzi, la necessità proprio della chiarezza programmatica e delle linee di definizione del soggetto politico con cui si andrà alle elezioni del 2018 sono i termini minimamente necessari per una riconoscibilità di una diversità rispetto a tutte le altre proposte politiche che verrà fuori con grande fatica e di certo non grazie ai canali mediatici televisivi e dei grandi quotidiani.
Dovremo farci spazio da noi, ogni giorno, impostando una campagna elettorale sul piano organizzativo e della comunicazione fondata su un recupero dell’attivismo, dell’impegno quotidiano di centinaia di migliaia di persone che dovranno diventare loro stessi l’immagine di questa alternativa che proponiamo come necessità per il Paese.
Per questo, dobbiamo mettere da subito la parola fine all’indecisione: non c’è da scegliere “centrosinistra sì” o “centrosinistra no”. Nel nostro programma c’è spazio solo per la sinistra di alternativa, quindi per una politica dicotomica rispetto a quelle portate avanti dai governi che si sono succeduti sino ad oggi e opposta a chi ha votato a favore della controriforma costituzionale del 4 dicembre 2016.
Il percorso iniziato al Teatro Brancaccio di Roma deve continuare in questo senso: deve dotarsi di una adesione individuale e collettiva al contempo. E bene hanno fatto Montanari e Falcone a promuovere sul sito le “assemblee sulle priorità programmatiche” da tenersi in queste settimane in cento e più piazze italiane.
Uscire dalle stanze nostre e riprendere un contatto vero, reale con la gente è necessario per contrastare una democrazia virtuale, fondata sui “click” sulle reti sociali e pochissimo sulla condivisione di empatie collettive che oggi ho visto soltanto nel corteo torinese degli studenti contro il G7.
Partecipare a questo processo costituente è un atto da fare anche con le proprie associazioni, con i nostri partiti di riferimento, ma deve essere una presa di coscienza individuale anzitutto. Soltanto così si avrà la consapevolezza dell’impegno personale legato alla radice originaria da cui si proviene: per me si può trattare di Rifondazione Comunista, per altri di Sinistra Italiana, per altri ancora di collettivi autogestiti, associazioni che lottano sui territori contro le grandi opere, per la difesa della salute, per il diritto alla casa, oppure sindacati operai, del lavoro autonomo, della scuola e così pure grandi associazioni antifasciste e della cultura che, un tempo, non avevano alcun dubbio sulla parte politica naturale con cui schierarsi.
E’ necessario, quindi, aderire iscrivendosi al progetto costituente per le “Cento piazze per il programma”, per dare finalmente avvio a qualcosa di irreversibile, di irrinunciabile, di perfettibile. Evitiamo questa volta di dare vita ad accrocchi pasticciati, messi insieme per disperazione, senza progetto, senza voglia vera di cambiamento.
Ci deve ispirare la volontà politica e sociale di dare gambe ad un soggetto che anche in Italia sia l’unica alternativa a tutte le politiche già viste in questi decenni: dobbiamo quindi schierarci contro tre destre come, con grande noia di chi mi legge da anni, vado dicendo da parecchio tempo.
Tre destre rappresentate dal liberismo autoritaristico governativo, dal populismo interclassista pentastellato e dal classico retaggio liberista, xenofobo e neofascista di ciò che rimane del vecchio centrodestra.
L’alternativa è un dovere sociale. Assumiamocelo. Creiamola.
MARCO SFERINI
29 settembre 2017
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