«Alla luce degli sviluppi registrati nel settore della cooperazione tra gli organi inquirenti di Italia ed Egitto sull’omicidio di Giulio Regeni… il Governo italiano ha deciso di inviare l’Ambasciatore Giampaolo Cantini nella capitale egiziana». Con questa laconica nota ieri il ministro degli esteri Alfano ha dato un colpo di spugna alla crisi con l’Egitto cominciata con il brutale assassinio al Cairo di Giulio Regeni e ha dato il via alla normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi. Si avvera perciò la previsione fatta il mese scorso da anonimi funzionari italiani all’agenzia di stampa egiziana Mada Masr, e riportata da Chiara Cruciati sul nostro giornale, dell’invio di Cantini al Cairo a settembre.
La possibilità che tutto fosse programmato da tempo è altissima. I presunti «sviluppi» di cui parla Alfano con ogni probabilità sono un pretesto per concretizzare una decisione già presa. E il fatto che il presidente del consiglio Gentiloni abbia fatto sapere di aver incaricato l’ambasciatore Cantini di «contribuire alla azione per la ricerca della verità sull’assassinio di Giulio Regeni» non offre alcuna rassicurazione. La verità era e resta lontana.
Prevale, come si temeva, la real politik, l’interesse dello Stato sulla verità per la quale si batte la famiglia del giovane ricercatore italiano rapito all’inizio del 2016 al Cairo e torturato a morte. Non sorprende la rabbia dei genitori di Regeni che hanno espresso «indignazione per le modalità, la tempistica ed il contenuto della decisione del Governo italiano di rimandare l’ambasciatore al Cairo».
Ad oggi, spiegano, «dopo 18 mesi di lunghi silenzi e anche sanguinari depistaggi, non vi è stata nessuna vera svolta nel processo sul sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio. Solo quando avremo la verità l’ambasciatore potrà tornare al Cairo senza calpestare la nostra dignità». La famiglia sottolinea anche che «si ignora il contenuto degli atti, tutti in lingua araba, inviati oggi, dal procuratore egiziano Sadek…La procura egiziana si è sempre rifiutata di consegnare il fascicolo sulla barbara uccisione di Giulio ai legali della famiglia, violando la promessa al cospetto dei genitori di Giulio e del loro legale Alessandra Ballerini».
Alfano invece parla di un Egitto disposto a collaborare senza però offrire elementi concreti. Si sa solo che la procura del Cairo ha trasmesso ieri a quella di Roma gli atti relativi ad un nuovo interrogatorio, sollecitato dall’Italia, cui sono stati sottoposti i poliziotti che hanno avuto un ruolo negli accertamenti sulla morte del giovane. I magistrati egiziani inoltre avrebbero affidato a una società privata il recupero dei video della metro del Cairo, essenziali per ricostruire i movimenti di Regeni il giorno del suo rapimento. Tutto qui. Ad Alfano comunque è bastato per inviare l’ambasciatore Cantini al Cairo. Tutto in nome dei buoni affari economici e politici tra i due Paesi.
A cominciare dall’influenza dell’Egitto sul generale libico Khalifa Haftar, pedina fondamentale che ostacola le manovre italiane in Libia e contro le partenze dei migranti in direzione del nostro Paese. Interessante, a questo proposito, è il commento fatto dal presidente della Commissione affari esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini: «L’intensificarsi della collaborazione giudiziaria sul caso Regeni e le nuove difficoltà insorte, che riguardano in particolare la vicenda della stabilizzazione della Libia, hanno reso indispensabile questo passo del ministro Alfano».
MICHELE GIORGIO
foto tratta da Wikimedia Commons