La decisione finale del giudice britannico per Charlie Gard è vicina, ma forse non immediata. Potrebbe esserci prima un confronto con i medici disponibili a sperimentare una terapia che – per alcuni – apre nuove possibilità per la rarissima e incurabile malattia genetica che sta portando Charlie alla morte.
In ogni caso, non è detto che ne venga un rovesciamento della decisione già presa, contro il volere dei genitori, di staccare le macchine per il sostegno vitale.
Alla base non troviamo contrapposti interessi, con una fazione pro vita e una pro morte. I medici del Great Ormond Street Hospital, i giudici e i genitori di Charlie in realtà si dividono sulla lettura di un medesimo punto: qual è il «best interest» di Charlie?
Gli ordinamenti giuridici possono essere diversi nella disciplina di dettaglio. Ma alla fine convergono nel senso che bisogna guardare al migliore interesse del paziente. Il caso di Teresa Schiavo negli Stati Uniti, i casi di Welby ed Englaro in Italia, e ora Charlie Gard in Gran Bretagna lo dimostrano. Trovano terreno comune nel principio che il trattamento sanitario non deve tramutarsi in accanimento terapeutico.
È un principio ormai consolidato. Il codice di deontologia medica statuisce all’art. 16 che il medico «non intraprende né insiste in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati, dai quali non ci si possa fondatamente attendere un effettivo beneficio per la salute e/o un miglioramento della qualità della vita».
Mentre nel catechismo della Chiesa cattolica (III.2.2278) si legge che «l’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’”accanimento terapeutico”. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire».
L’accanimento terapeutico non può e non deve essere praticato. Ed è un principio che possiamo collegare all’art. 32 della Costituzione, che nel tutelare il diritto alla salute stabilisce come limite assoluto il rispetto della persona umana.
È appunto questo rispetto che viene meno nel caso di accanimento terapeutico.
Lo stesso vale per l’ordinamento britannico, e si riassume nella formula del «best interest». Questo è il fulcro della vicenda di Charlie, e il punto che ha fin qui diviso medici, giudici e genitori: la sperimentazione di cui si discute conduce all’accanimento terapeutico o no?
I punti da considerare sono almeno tre.
Il primo: il trattamento sanitario in discussione può essere efficace nel caso specifico di Charlie?
Il secondo: a quale livello di gravità si colloca il danno già subito da Charlie?
Il terzo: il trattamento, laddove fosse efficace, consentirebbe un recupero, o potrebbe solo impedire danni maggiori?
A quanto si legge, sul primo punto alcuni ritengono, pur mancando una sperimentazione, che il trattamento potrebbe essere efficace; sul secondo e sul terzo l’opinione medica sostanzialmente unanime è che il danno cerebrale e muscolare già subito è gravissimo, e che non sia recuperabile. Anche la lettera dei ricercatori italiani del Bambino Gesù non va oltre una apertura possibilista sul primo punto.
Sul terzo, il solo neurologo americano entrato da ultimo nella vicenda non esclude la possibilità di un parziale recupero.
È questo lo scenario in cui si trovano i giudici, chiamati in causa per il contrasto tra l’opinione dei medici e del comitato etico del Great Ormond Street e la volontà espressa dai genitori.
Qui la domanda più difficile. Se i genitori non vogliono staccare le macchine, si può andare contro la loro volontà? Ma a questo si risponde con un’altra domanda: siamo sicuri che il loro giudizio sia davvero quello più orientato al «best interest» di Charlie? O che non sia diversamente piegato proprio dal loro amore di genitori?
Fino a pochi decenni fa non esistevano il sapere medico e la tecnologia del mantenimento in vita con mezzi artificiali. Senza internet non sarebbe possibile la risonanza globale che è oggi determinante nel caso di Charlie. Problemi nuovi del mondo nuovo. Ma possiamo immaginare che moltissime vicende di vita e di morte si consumino ancora nel dolore privato di pochi.
E ci sembra più giusto.
MASSIMO VILLONE
foto tratta da Pixabay