A spingere verso una lista unitaria della sinistra è un fattore nuovo, di cui occorre avere percezione: il voto di sanzione. Dopo un Pd esploso, un M5S inadeguato come forza di alternativa reale, movimenti sociali e di cittadinanza hanno riacquistato visibilità.
Se a sinistra alcun processo di riaggregazione politica si apre le conseguenze saranno inevitabili. Una punizione ricadrà su tutte le offerte elettorali residuali in campo (una variante dell’Arcobaleno o una reinterpretazione della lista Ingroia) che invano cercheranno di superare lo sbarramento.
Dopo lo stimolo della piazza e del teatro si avverte una esigenza non di generica unità ma di efficacia del voto che richiede la presenza in competizione di un simbolo comune capace di raccogliere un consenso di massa.
Ciò impone alle due principali forze esistenti a sinistra, il Mdp e SI, di progettare la convergenza di un più arco ampio di soggetti per delineare una formula che abbia l’ambizione di incidere nell’immediato e di crescere in prospettiva.
Il Mdp mostra però una qualche esitazione ad allargare il fronte unitario e concentra la sua iniziativa esitante ad una preliminare alleanza con il Campo progressista di Pisapia. Senza una verifica dei rapporti di forza, strappa i galloni a Speranza, che se li era guadagnati anche con un limpido gesto di disobbedienza a Renzi, e assegna proprio al magico federatore il compito di dirigere le operazioni. Altre forze dovrebbero solo in seguito confluire al seguito di una leadership già assegnata, senza il loro concorso. L’ipotesi politica del Mdp (con il distinguo di D’Alema che muove da un’analisi più accorta e spietata) è che occorra cautela e senso dei confini per costruire un centrosinistra attrattivo per i moderati.
Il problema è però che il centrosinistra come formula indica una coalizione ampia e plurale che si arma per affrontare la competizione bipolare per vincere le elezioni. Il gruppo di Insieme invece è solo una micro-coalizione che nel mercato elettorale dovrebbe rimarcare la propria parzialità e non configurarsi già come una eterogenea aggregazione delle culture di sinistra e di centro. Realistica come obiettivo della coalizione major che punta a vincere la contesa, la categoria del centro sinistra è del tutto sfasata per una coalizione minor che nasce come ipotesi alternativa al Pd. Inseguire un ulivo in miniatura, che ha per obiettivo realistico la conquista di un 10 per cento come dote elettorale da cui ripartire per ulteriori scalate, è quindi un’idea politica sbagliata. A una lista unitaria, che non è così forte da proporsi già come blocco di governo, servirebbe un più preciso perimetro di sinistra e non una troppo generica mescolanza di culture.
Se si va a combattere in nome dell’Ulivo minore, che intende vendicare l’oltraggio al centrosinistra vero compiuto dal Pd, denunciato (con i volti di Cuperlo e Orlando) quale falso interprete del centrosinistra autentico (quello di Bersani, Letta, Prodi) non si fa molta strada. Il rischio tattico (ammesso che schivata sia la mina vagante della proposta di Pisapia di convocare nuove primarie di coalizione per giocarsi il bastone del comando con Renzi) è di rimanere intrappolati nelle reti delle armi gigliate. Una insidia ulteriore, che minaccia di far esplodere il Mdp, è poi contenuta nell’ultima carta gettata sul tavolo da Repubblica: mantenere Renzi quale segretario e però costringerlo, con i segnali di fuoco che certi poteri forti sanno ben lanciare per far precipitare il capo in fuga in un’assordante solitudine, ad accordare i gradi a Gentiloni quale candidato premier.
Le incertezze del Mdp (tenere aperte le vie del dialogo confidando in un Pd a renzismo più marginale) rischiano di farlo naufragare tra le sue contraddizioni irrisolte sino a sterilizzarlo come autonomo soggetto e ridurlo a partner del tutto irrilevante. Il bivio che l’area di Bersani ha di fronte è trasparente: o lavora per costruire il fronte sinistro della rappresentanza o si arrende alla pax renziana che significa però riflusso e fallimento della sua disobbedienza. Alla fine la forza delle cose indurrà il Mdp alla opzione adesso indigesta di un incontro a sinistra per non perire come un esperimento abortito. Le sue inquietudini tattiche (attesa della sconfitta del Pd in Sicilia come ultima occasione di una bella congiura per l’uccisione del leader) e le chiusure dialogiche ostacolano però il respiro strategico da conferire alla lista unitaria.
La tessitura con Sinistra italiana non potrà a lungo essere rinviata, pena un tardivo incontro di ceti politici allo sbando per il naufragio delle sirene della de-renzianizzazione del Pd. Malgrado una emorragia per la fuga del 75 per cento dei suoi gruppi parlamentari, SI ha saputo svolgere una funzione di opposizione rilevante in aula e conservare lo stesso radicamento elettorale nel paese. Per questo può convertire la sua centralità per debolezza (attrazione centripeda verso il Mdp e centrifuga verso aree più radicali) in una centralità per forza aggregativa. Per contrastare una campagna elettorale monotematica incardinata sull’immigrazione, è indispensabile mostrare una radicalità sociale della sinistra. Occorre vagliare le suggestioni di liste civiche nazionali (non hanno una diffusione territoriale omogenea le pratiche collettive premiate a Padova e Bologna) per prepararsi a uno scontro che richiede piuttosto una visibilità identitaria della sinistra e un qualche radicamento nei ceti popolari.
Dopo il soccorso dei federatori, che ha richiesto un passo indietro dei partiti e l’appalto a figure esterne con il mandato di navigare nell’incertezza, è necessario che le leadership garantiscano il raccordo indispensabile con le armi della politica, con i suoi tempi e anche ritualità. Ricevute le benedizioni di Santi Apostoli e del Brancaccio per una cosa unitaria, tocca non deludere il principio di speranza per una lista della sinistra. Solo così il voto di sanzione non scatterà.
MICHELE PROSPERO
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