Secondo il Movimento 5 Stelle, proibire “condotte meramente elogiative, o estemporanee che, pur non essendo volte alla riorganizzazione del disciolto partito fascista, siano chiara espressione della retorica di tale regime, o di quello nazionalsocialista tedesco” è essere liberticidi.
Ho strabuzzato un po’ gli occhi quando ho letto questa notizia: il parere negativo dei Cinquestelle sulla proposta di legge a firma del deputato del PD Emanuele Fiano è quanto meno discutibile.
Ho usato un eufemismo, perché di cose, fatti e leggi “quanto meno discutibili” in Italia se ne trovano a bizzeffe. La democrazia se la sono dimenticata un po’ tutti: sui migranti c’è chi li vuole aiutare “a casa loro”; sul fascismo c’è chi ritiene l’elogio del regime di Mussolini un’espressione di libertà.
Il punto è storico, politico e, quindi, profondamente attualistico. La conoscenza dei fatti storici non è da sola sufficiente per esercitare una alimentazione di un civismo antifascista, così come la conoscenza storica di qualunque fatto, di per sé, può essere indebitamente ridotta a puro nozionismo e, quindi, produrre mostri peggiori di chi magari è all’oscuro degli eventi anche solo maggiori prodottisi nel corso della Seconda guerra mondiale.
Allo studio approfondito del nostro recente passato va unito un esercizio quotidiano di applicazione dei valori che si sono succeduti alla caduta del fascismo e della monarchia sabauda nel 1945/1946.
La Repubblica e la sua Costituzione sono l’approdo finale tanto storico quanto oggi scolastico (ma anche di iniziativa personale, individuale) di una ricerca dei valori su cui fondare il patto sociale quotidiano di un intero popolo.
L’alimentazione della memoria è compito della scuola ma anche degli ambienti familiari, di quelli esterni tanto alle aule quanto alle case: ovunque nel Paese dovrebbe riscontrarsi naturale, spontaneo, imprescindibile essere (non divenire) antifascisti.
Una categoria necessaria, eppure non completamente sufficiente a garantire l’imperturbabilità democratica della nostra Repubblica, dell’Italia tutta. C’è sempre un aggettivo positivo e uno di alternativa in chiave negativa: io posso dirmi comunista, oppure anticapitalista. Ma anticapitalista non necessariamente prevede una identificazione con la storia e la visione della società di un comunista.
Per questo essere antifascisti non vuol dire implicitamente essere avulsi dal pericolo di cadere in trappole nuove di riformulazione di autoritarismi che si presentano senza gagliardetti, senza vestigia e simbologie del ventennio mussoliniano, ma anzi si propongono come innovatrici rispetto al passato, promettendo tagli netti e cesure non ricucibili con ciò che è stato.
Ma ciò che è stato, solo per il fatto di essere affidato al passato, non è detto che non possa tornare. E basta davvero una commistione di fattori che consentano alla povertà di esasperare gli animi, agli speculatori di soffiare su questo fuoco e ai governi di essere accondiscendenti a proteggere sempre più il regime dei profitti con “leggi speciali” o misure di restringimento progressivo degli spazi di critica e di dubbio.
Dire che la mera esaltazione del regime fascista, solo per il fatto che di per sé oggettivamente non può rappresentare la ricostituzione del partito fascista, è non vietabile perché altrimenti si cadrebbe nella morte della libertà, è prima di tutto un clamoroso errore politico che devia dai princìpi costituzionali e estende il principio di libertà ad una finalità che nega la libertà stessa.
Perché il fascismo non è esaltabile. Non è elogiabile. Farne esaltazione ed elogio significa, qui si, arrivare al tradimento non solo dei valori repubblicani e costituzionali ma ad un revisionismo della storia che viene declinato sul piano dell’agire politico. Vorrebbe dire rovesciare settanta anni e più di vita democratica (con alti e bassi, se ne potrebbe discutere a lungo…) e dichiarare che in Italia è consentito dirsi “fascisti”. Ma tra il proclamarsi tali e l’esserlo, quindi uscendo dall’elogio personale ed entrando in un ruolo politico, quale è il confine? Dove finisce la libertà dell’elogio? Fin dove può sconfinare?
Abbiamo visto tutti che, nonostante nella Costituzione dal 1948 fosse proibita la “riorganizzazione del disciolto partito fascista sotto qualsiasi nome“, di movimenti e partiti fascisti ne sono nati e rinati a decine. Hanno tentato di destabilizzare l’ordinamento democratico e si sono parati dietro la legge affermando di non voler ricostituire il PNF ma di essere “altro”.
L’alterità che hanno richiamato sovente era solo un espediente legale di una illegalità a tutti manifesta. Eppure il prezzo della democrazia è anche questo: rifiutare la libertà stessa mentre la si vive.
Ma vi è un limite invalicabile: se tutto ciò avviene al di fuori di una norma di legge, aggirando la legge con dei cavilli da Azzeccarbugli, porta con sé il marchio della disapprovazione formale e dell’impossibilità a metterla in pratica nel sostanziale.
Ma se si considera “legale” elogiare un regime dittatoriale, i suoi rappresentanti, le sue insegne, allora la Repubblica, lo Stato italiano dovrebbero ammettere un “culto del fascismo” che non è accettabile proprio perché viviamo in un Paese democratico, quindi antifascista. Non vi è conciliabilità: il fascismo non può avere legittimità nella democrazia. E’ antitetico ad essa. Sic et simpliciter.
Consentire di elogiare il fascismo con souvenir, i cosiddetti “gadgets”, calendari, agende, bottiglie di vino, volti di Mussolini negli stabilimenti balneari con frasi imperative (e imperiali…) non è fare torto alla storia, ai valori: è negarli in assoluto. E’ consentire che vi sia una alternativa sociale, politica, morale che non può avere cittadinanza nella Repubblica, che è e deve rimanere un crimine.
Il fascismo e il nazismo ciò erano e ciò rimangono: due regimi criminali, omicidi, impossibili da elogiare “liberamente” per un cittadino consapevole dei fatti prebellici e postbellici (non dimentichiamoci tutte le trame nere del dopoguerra…).
Se erano arrivati a capirlo persino alcuni gerarchi, pur tuttavia per semplicissimo opportunismo personale; se erano arrivati a comprenderlo persino alti ufficiali della Wermacht, penso lo possano comprendere tutte le deputate e tutti i deputati della Repubblica italiana che esiste in quanto non esiste più il fascismo.
La giustificazione del voto contrario dei grillini in commissione è antistorica, antipolitica (nel senso laico e repubblicano del termine) ma non è antifascista. Ci sono “anti” e “anti”…
Repubblica democratica e libertà di elogio del fascismo non possono convivere nel nome proprio della libertà.
MARCO SFERINI
10 luglio 2017
foto tratta da Pixabay