Prima lo ha comunicato allo staff della Casa bianca, poi agli alleati. E alla fine l’annuncio, temuto in ogni angolo del pianeta, è arrivato nella cornice del Rose Garden: gli Stati uniti sono fuori dall’Accordo di Parigi sul clima.
La prima conferma la dà Michael Catanzaro, consigliere per l’energia: «Inizieremo un processo che richiederà quattro anni in totale. Ma vogliamo essere chiari con il mondo: non intendiamo rispettare quanto previsto dalla precedente amministrazione».
«L’accordo negoziato da Obama impone target non realistici per gli Usa, lasciando invece a paesi quali la Cina un lasciapassare per anni», si legge nel documento firmato da Trump e consegnato ai congressisti.
«L’Accordo di Parigi è pessimo per gli americani e le azioni odierne del presidente mantengono la promessa di mettere i lavoratori americani al primo posto». Se rispettassimo Parigi, aggiunge Trump, gli Usa perderebbero in Pil 3mila miliardi di dollari nei prossimi decenni e 6,5 milioni di posti di lavoro nell’industria entro il 2040.
Poi tocca al presidente: «Gli Stati Uniti si ritireranno dall’Accordo di Parigi sul clima, ma inizieranno negoziati per rientrare o dentro Parigi o in un accordo del tutto nuovo i cui termini siano più equi per gli Stati uniti».
I quattro anni citati da Catanzaro sono subito ripresi in un tweet dall’ex consigliere di Obama, Deese: «Parigi è entrato in vigore il 4 novembre 2016. Trump può uscirne del tutto il 4 novembre 2020. Il giorno dopo le elezioni del 2020. Parigi sarà nell’urna».
Parla anche Obama: in un comunicato si augura che «Stati, città e imprese si facciano avanti e proteggano le future generazioni». Hanno già ammutinato New York e California: che continueranno a negoziare con la comunità internazionale nell’ambito di Parigi.
Le ultime ore, dicono fonti repubblicane alla Cnn, sono state infuocate: Trump ha fatto spola telefonica con i repubblicani al Congresso per trovare sostegno, appigli, opinioni. Tra i contrari alla mossa trumpiana anche la figlia Ivanka, il genero-consigliere Kushner e il segretario di Stato Tillerson.
Restano da capire le modalità del ritiro. E se è l’America ad essersi isolata o è il mondo a subirne la decisione. Una decisione, come sottolineavano ieri diversi opinionisti Usa, che non ha alcuna logica, né economica né scientifica. Forse politica: devastare ogni cosa che Obama ha prodotto.
Perché uscire da Parigi non porterà benefici agli Stati uniti. E difatti, se molte decisioni di pancia di Trump sono volte a radicare il consenso tra i sostenitori, sul clima la situazione è diversa: secondo un sondaggio dello Yale Program on Climate Change Communication, il 70% dei cittadini Usa approva Parigi, dunque anche gli elettori repubblicani.
La spiegazione va cercata anche nei dati occupazionali: sono tre milioni gli americani nel settore della green energy, posti di lavoro ora a rischio . Come a rischio è il settore della tecnologia dell’energia pulita, che sarebbe lasciato in mano a Europa e Asia.
Accanto a loro stanno anche le grandi aziende Usa: in una lettera aperta Apple, Google, Intel, Microsoft e Facebook ieri hanno dato voce al timore di perdere potenziali mercati globali e di subire ritorsioni all’estero. Non solo la Silicon Valley, ma anche Exxon e i colossi petroliferi vedono nella permanenza nell’accordo il modo per gestire meglio le misure future, ovviamente per interessi personalistici.
Ieri, fino all’ultimo, i leader mondiali hanno fatto pressioni per salvaguardare un accordo ratificato da 147 paesi, dall’Afghanistan (responsabile dello 0,05% delle emissioni globali) allo Zimbabwe (0,18%). Il ritiro Usa pesa come un macigno: pesa per il suo 18% di emissioni a livello mondiale (più dei 28 paesi della Ue insieme e secondo solo al 20% della Cina) e per il suo apporto alle tecnologie pulite.
Con la Bbc il segretario generale Onu Guterres ha messo le mani avanti: «Indipendentemente dalla decisione del governo americano, è importante che gli altri restino in corsa».
Meno diplomatico il presidente della Commissione europea Juncker: se gli Usa usciranno, ha detto ieri, «lascerebbero la scena mondiale e il vuoto che si creerebbe sarà occupato».
CHIARA CRUCIATI
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