Una considerazione nel merito dell’immane pasticcio combinato alla Camera dei Deputati in relazione alla riforma della legittima difesa.
Una prima modifica del Codice penale si era già verificata nel 2006 (governo Berlusconi, ministro dell’interno Maroni), qualificando come “legittima difesa con armi proprie e improprie in caso di violazione di domicilio o del luogo di lavoro, quando si cerchi di difendere la propria o altrui incolumità o ci sia un pericolo di aggressione”.
Naturalmente non c’era distinzione tra il giorno e la notte.
Andiamo però a verificare che cosa prevedeva il Codice Rocco del 1930 (sono debitore della formulazione a Stefano Anastasia, da un suo articolo pubblicato dal “il manifesto”):
“Perché la giustificazione del fatto delittuoso possa essere considerata legittima, l’autore deve esserci stato costretto (e dunque non averne avuto altra possibilità che quella) per difendere un diritto proprio o altrui, da un pericolo che si sta manifestando nel preciso momento in cui il fatto che si vuol giustificare viene compiuto e sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa che si vuol evitare”.
Fin qui il codice penale elaborato – appunto – nel 1930 quando ministro guardasigilli era Alfredo Rocco, un nazionalista, ministro di Mussolini e presidente della Camera al momento del delitto Matteotti, dell’arresto di Gramsci e del varo delle leggi “fascistissime”.
Rivolgo, allora, a tutte e tutti un interrogativo: non si tratta forse di una formulazione ben più avanzata e includente tutta la possibile casistica, rispetto alla modifica del 2006 e – assolutamente – del pasticciaccio brutto combinato ieri?
Il discorso è il solito: si fanno modifiche soltanto per rispondere alla propaganda degli avversari, nella reciprocità dell’apparire ad ogni costo.
A questo è ormai ridotta l’azione legislativa in un Parlamento svuotato che risponde soltanto alle esigenze elettoralistiche e ai richiami dei riflettori televisivi.
FRANCO ASTENGO
6 maggio 2017
foto tratta da Pixabay