Stavo guardando “Gran Torino”, un bellissimo film con al centro i temi dell’odio razziale, della solitudine e della convivenza di culture – e quindi esseri umani – differenti tra loro, quando si è interrotta la trasmissione per una edizione speciale del telegiornale.
Ho ascoltato, ho cinicamente sperato che, nonostante quelle notizie, riprendesse il film. E invece niente.
Così ho traslocato su una rete di sole notizie e ho seguito l’avvicendarsi della lettura delle tante agenzie di stampa che si susseguono quando accadono avvenimenti dove le voci si rincorrono, dove le smentite sono sempre superiori alle certezze.
Due ore di acrobazie televisive tra un canale e l’altro per arrivare a comprendere anche questa volta, ancora una ennesima volta, che il copione degli attentati è sempre lo stesso.
Solamente, in questo frangente accade in un momento in cui un grande paese d’Europa come la Francia deve, tra settantadue ore circa, andare al voto per eleggere il suo nuovo Presidente della Repubblica.
E qui il copione è già oltre la copertina, entra nelle pagine della consuetudine: a pagina uno, “Come condizione gli eventi politici ed economici di uno Stato?”. Come? Cambiando lo status quo o, quanto meno, facendo deviare il corso degli eventi dalla quasi normale tranquilla e disordinata sopravvivenza quotidiana di milioni di francesi ad un provvisorio, ma proficuo, stato di agitazione permanente, di ansia collettiva, di ricorso non alla razionalità bensì all’ancestralismo più recondito che alberga in noi, al terrore dell’attacco, a quella sensazione dell’essere circondati da un nemico che fa “stringere a coorte”.
Quindi, la militarizzazione delle coscienze e la conversione della protesta sociale in protesta securitaria: la prima prova a sovvertire i rapporti di forza sul piano di classe; la seconda finge di farlo e, invece, raduna attorno a sé la pace sociale fatta di conservazione dei privilegi della borghesia dominante insieme ai mercanti di armi, agli speculatori delle borse che, già oggi, a poche ore dai fatti degli Champs Elysees, usufruiranno proprio dei timori anche del mercato per guadagnare qualche punto in percentuale e aumentare i dividendi degli azionisti.
Intanto la paura sociale farà il suo corso. Se riuscirà ad ingannare milioni di francesi. Non è detto che questo giochetto riesca sempre facilmente.
Del terrore rivendicato dal Daesh dovrebbero avvantaggiarsi le forze di destra, quelle che urlano a più non posso alla chiusura dei sacri confini di Francia, all’espulsione indiscriminata dei migranti e, al contempo, non si oppongono all’invio di bombardieri che sgancino qualche tonnellata di armamenti sulle teste dei loro parenti rimasti a soffrire nelle zone del califfato nero a cavallo tra Siria e Iraq.
Ma non è affatto certo questo meccanicistico rapporto tra paura e voto d’argine della paura con la scelta securitarista.
Una sinistra di alternativa e comunista, rappresentata da Jean Luc Melenchon, quasi al 20% nei sondaggi spaventa chi si sente più sicuro sul lato economico con la vittoria di un Fillon o di un Macròn e chi, da un altro lato della barricata, ma sulla stessa linea, affronta le questioni economiche in senso trumpiano, protezionistico, provando a lanciare la carta dell’uscita della Repubblique dall’Europa dei mercati e dei trattati senza tentare nemmeno la rinegoziazione dei medesimi, la forzatura per provare a cambiare la tecnocrazia dell’austerità in governo della società e per la società.
Quelli degli Champs Elysees sono dei veri e propri spari su un voto politico di enorme portata. Sono di più di un atto di terrore, sono un atto politico senza interpretazione di sorta. Si può discutere se il terrorismo sia di per sé sempre e soltanto stragismo o se abbia nella sua matrice di composizione originaria e di espressione particolare, di volta in volta, una conservazione di tratti politici. Si può discutere quanto questa matrice politica riesca ad essere persuasiva o incisiva. E si può arrivare alla conclusione – cui personalmente arrivo io da sempre – che un atto terroristico è privo di senso perché non è una lotta di popolo ma una lotta contro un popolo se non viene compreso come parte di un tutto, come espressione diretta di un sentimento di classe, diffuso tra la gente e percepito come utile allo scopo di migliorare la vita comune e non di renderla meno sicura, traballante e necessitante di “leggi speciali” e strette sulla democrazia rappresentativa.
Di tutto ciò si può dissertare quanto si vuole. Ma i fatti di Parigi restano. Perché rimane il tempo brevissimo che intercorre tra l’atto criminale rivendicato dal Daesh e l’apertura delle urne in tutta la Francia.
Questo è il dato che nemmeno le televisioni possono scansare, tanto è vero che per la prima volta sento i cronisti affermare che, in effetti, è “quanto meno sospetta” la tempistica dell’accadimento, la raffica degli spari da un Kalashnikov che in pochi secondi, con molti colpi, ha freddato due poliziotti e ne ha feriti altrettanti.
Il copione, dunque, è sempre lo stesso: si chiamava e si può ancora chiamare, fatte le dovute differenze temporali e logistiche, “strategia della tensione”. L’arte del seminare la paura e dividere gli sfruttati davanti ad un pericolo: dividerli e comandarli sempre meglio, adoperandoli come strumento di gestione della crisi per non rinunciare ai profitti e per far apparire salvatori della patria coloro che sono invece i salvatori dei capitali economici che rendono sempre più poveri milioni e milioni di europei.
Ma se il giochetto stavolta non riuscisse, sarebbe una bella lezione per chi pensa di addomesticare i cittadini più poveri e indigenti rendendoli sudditi, servi sciocchi di un potere politico e di uno economico che si sorreggono a vicenda.
Quindi, più forza alla sinistra di alternativa e comunista, più forza e consensi per Jean Luc Melenchon, per rompere il giocattolo dei signori della destabilizzazione sociale, del dominio economico attraverso lo spauracchio del terrore permanente.
Ce la potete fare, cugini francesi. Fatecela.
MARCO SFERINI
21 aprile 2017
foto tratta da Pixabay