Non ho scritto niente su Facebook o altrove sulla morte di DJ Fabo. Non credo ci sia molto da dire se non ripetere un concetto che ho sempre espresso: ogni essere umano ha come unico proprietario sé stesso e non dovrebbe rispondere a nessun ente statale, ecclesiale o di altra natura della sua vita. Tanto del suo inizio quanto della sua fine.
Ma lo Stato e la Chiesa si interessano a noi e pensano di poter gestire le nostre vite in ogni attimo, sempre, anche quando la vita sfugge.
Questa proprietà pubblica degli esseri umani, degli animali e della natura nel suo complesso è alla base del concetto di sfruttamento. C’è sempre qualcuno che pensa di poter comandare su qualcun altro. Per diritto divino, per diritto di Stato, anche per qualche presunto dovere trasformato in diritto con mirabolanti acrobazie di parole.
Mi rendo conto che tutto questo è un pensiero forse compositamente anarchico. E a me pare bellissimo. Dunque, se essere pienamente liberi vuol dire essere anarchici, o comunisti libertari (come preferisco sempre appellarmi, se proprio devo), evviva l’anarchismo, evviva la libertà.
Io non so, francamente, se avrei il coraggio che ha avuto Fabo. Non so se lo avrei di vivere o di morire. Nel rimanere in questa inconoscenza, riaffermo l’unico commento possibile: essere liberi di essere ciò che si vuole essere e di ciò che non ci si sente più di essere.
(m.s.)
foto tratta da Pixabay