«Chi non lotta ha già perso». Così, con una citazione nientemeno che di Ernesto Che Guevara, alla fine di una direzione Pd in cui la minoranza prende l’ultima sportellata in contumacia (i bersaniani e i dalemiani sono assenti), Michele Emiliano annuncia che resta nel Pd, si candida al congresso e mette fine, almeno per ora, ai suoi «giorni difficili», il suo interminabile andirivieni di qua e di là dalla porta di uscita del partito. Si lancia nella corsa «perché questa è casa mia, è casa nostra, e nessuno può cacciarmi», a un congresso «con rito abbreviato», nato «dalla distruzione di ogni ipotesi di comunità per ambire al potere assoluto», dice duramente all’indirizzo del segretario. Si lancia, nonostante l’ultima mediazione implorata da Gianni Cuperlo, la proposta di primarie all’inizio di luglio, venga bocciata da tutti «con una burocrazia di stampo sovietico», così poi la definisce il bersaniano Nico Stumpo. Da tutti, anche dai più ’dialoganti’ come Piero Fassino, ma soprattutto bocciata dal renziano Dario Parrini. Che nello slittamento delle primarie a dopo le amministrative sospetta una furbizia: «Non vorrei che la condivisione della vittoria o della sconfitta diventasse un elemento negoziale nel partito». Tradotto dal politichese stretto: c’è il rischio che un flop cambi in corsa gli equilibri interni.
Dalla mattina fino al pomeriggio il presidente della Puglia stacca il telefono per non parlare con «Roberto e Enrico», e cioè Speranza e Rossi, compagni di scissione fino a ieri , che in direzione definisce «persone per bene». Ma più tardi fra i tre voleranno gli stracci. Il presidente Matteo Orfini, che dirige la riunione – Renzi è volato via dalle beghe, in mattinata annuncia un viaggio in California – lo sa già e infatti all’avvio della liturgia avverte che la commissione congressuale che sarà votata potrebbe essere «integrata». Alla fine si capisce con chi: con un rappresentante di Emiliano. Sarà infatti «integrata» con un ’emiliano’, forse Francesco Boccia.
Sono invece due su 18, i componenti dell’area di Andrea Orlando (Bordo e De Maria). Un’ora prima della direzione il ministro della giustizia presenta il suo blog «Lo stato presente». Tutto esaurito al secondo piano del palazzo dei gruppi parlamentari: ad omaggiare il probabile candidato sono arrivati molti ’giovani turchi’ – fra gli altri Daniele Marantelli, l’ex tesoriere Misiani, Valeria Valente – ma anche il cuperliano Andrea De Maria. Con Orlando si schiererebbero Cuperlo e la sua Sinistradem, Damiano e una ventina di «Riformismo è cambiamento», a Roma Goffredo Bettini e forse anche il presidente della Regione Zingaretti. La commissione, presieduta dal vicesegretario Guerini, deciderà la data delle primarie, la più probabile è il 9 aprile. Tutto prende il verso che Renzi si augurava. Compresa la candidatura di Orlando, preziosa per tamponare l’emorragia a sinistra e rimotivare l’area dello scontento ex ds. Emiliano già lo attacca da Porta a Porta: «È stato la stampella di Renzi». In serata il ministro riunisce i suoi: Cuperlo eDamiano lo invitano a lanciarsi.
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DANIELA PREZIOSI
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