«Che me ne frega della data del congresso», urla Roberto Speranza dal palco del teatro Vittoria di Roma, «c’è una frattura senza precedenti fra il Pd e il suo popolo, sulla scuola, sui voucher». Ma poi quando lancia l’ultimatum a Renzi, le condizioni per evitare la scissione sono due: «Pieno sostegno al governo Gentiloni» e, appunto, «congresso nei tempi dettati dallo statuto». Tutto esaurito ieri all’appuntamento del terzetto di candidati a congresso della minoranza Pd, nel cuore della Roma rossa e testaccina. In molti non riescono a entrare nel teatro. Dentro suona Bandiera rossa, scorrono le immagini di Nelson Mandela, dei minatori inglesi e del maestro Yoda (è la saga di Star Wars) che dice: «Fare, o non fare, non c’è provare». Dal Pd renziano piovono battutacce sulla deriva «alla Corbyn», per i nuovi «socialisti rivoluzionari» è un video di automotivazione. Le minoranze Pd si fanno coraggio: dopo tante minacce stavolta toccherà loro davvero lasciare la casa madre.
Apre la kermesse il presidente della Toscana Enrico Rossi, padrone di casa prima che l ’appuntamento della sua associazione «democraticisocialisti» (acronimo Ds, per capirsi) si trasformasse nell’ultimatum delle minoranze al segretario Pd. Rossi chiede una svolta politica del Pd: «Abbiamo bisogno di un partito partigiano che sta dalla parte dei lavoratori. Se esalti Marchionne non devi meravigliarti se poi un precario ti sente distante». Il presidente della Puglia Michele Emiliano fa il suo show: «Ero uno dei sostenitori di Renzi. Scusatemi, mi scuso con tutti voi». Poi giura che anche lui sarà della partita della scissione: «Se qualcuno pensa che noi, pur di rimanere, siamo disposti a sacrificare le idee in cui crediamo, si sbaglia». In realtà è lui ad essere oggetto di qualche dubbio. Un attimo prima dell’inizio dell’assemblea scrive su facebook di aver sentito Renzi e di averlo convinto a far durare la legislatura fino al 2018: «Ora possiamo darci il tempo di riconciliarci e trovare le ragioni per stare ancora insieme». In platea la cosa non viene presa sul serio. Pier Luigi Bersani, in prima fila con Massimo D’Alema e Guglielmo Epifani, è scettico: «Lo dica Renzi». Anche Speranza ammette di aver sentito per telefono il segretario, senza cavarne nulla però.
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DANIELA PREZIOSI
foto tratta da Pixabay