«Se vedi che le peggiori riforme in Europa le hanno fatte governi che si dicono di sinistra, e che si rifanno all’Internazionale socialista, cosa pensa chi è precario? Pensa che con la destra al governo è stato bastonato, e con la sinistra uguale». La sintesi di Maurizio Landini convince i quasi 700 delegati di Sinistra italiana, che salutano con applausi ripetuti, non rituali, un saluto/intervento assai critico verso quella politica «che non indica con chiarezza cosa vuole fare». Nel primo giorno del congresso di Rimini, è dal segretario dalla Fiom, per forza di cose, che arriva un bagno di realtà terapeutico per il nascente partito. Con il ripetuto richiamo alla concretezza: «Per i lavoratori è decisiva, altrimenti non ti capiscono». Una parola che dovrebbe far fischiare le orecchie a molti, viste le manovre in corso in questi giorni. Con il pallino sempre, invariabilmente, nelle mani del Pd.
Al riguardo, alcune parole chiare arrivano anche da Nichi Vendola. A chi gli chiede, forse per la centesima volta, se non ci sia il rischio di isolarsi e di chiudere le porte, preparando un congresso nel segno del pensiero critico e del conflitto sociale, il padre nobile di Si risponde: «Le porte devono essere prima di tutto aperte alla società. Noi dobbiamo guardare con molto interesse al dibattito interno al Pd, alle rotture, all’implosione. Ma ricordandoci che il mondo è molto più ampio del Pd. Quella è una cosetta. Poi fuori ci sono i giovani, il fronte largo che ha votato No al referendum che ha mandato un messaggio molto chiaro. Noi siamo qui per ricostruire un’alternativa. Altrimenti la destra farà il pieno».
Nella relazione introduttiva, Fabio Mussi chiarisce: «Vogliamo essere un partito autonomo e radicale, cioè che va alla radice delle cose. Perché radicalismo non è il sinonimo di estremismo, piuttosto è vero il contrario. Quanto all’autonomia, noi vogliamo pensare con la nostra testa». Poi un’annotazione sullo stato delle cose: «La crisi può andare a destra, e penso a Trump, oppure a sinistra. Perché quelle di destra e sinistra non sono categorie derelitte. Dire che non esistono più, come leggo e ascolto ormai da anni, è una bufala. Come si dice oggi una post-verità». Infine uno sguardo alla deriva degli ex compagni che hanno fondato il Pd: «E’ passata l’idea che la sola sinistra che può governare è quella che si fa centro. Una tesi che ha provocato una catastrofe culturale». Non soltanto culturale, segnalerà Landini.
Nell’auditorium del Palacongressi riminese intanto è tornato un po’ di rosso, nelle scritte sui cartelli come negli sfondi per le interviste. Sul palco, accanto al leggio, c’è un giovane pianista che sottolinea le presentazioni fra un intervento e l’altro degli ospiti e dei delegati. Dopo la relazione di Mussi, i 680 delegati ascoltano i saluti del Ps nenciniano, dei Verdi, del Pcdi con il segretario Alboresi. Anche di Rifondazione, con Maurizio Acerbo, e dell’Altra Europa con Tsipras, con Massimo Torelli. Pronti, questi ultimi, a ricordare il lavoro positivo fatto fianco a fianco, sia nella campagna elettorale delle europee, che in quella referendaria, lunghissima, che ha portato il 4 dicembre a una vittoria «che non deve essere trascurata né va dimenticata, perché è l’esempio di come si può lavorare assieme sulle cose concrete».
Del Pd, non c’è nessuno. Oggi porterà il saluto del partito il vicepresidente Matteo Ricci, sindaco della vicina Pesaro. Chissà cosa avrebbe commentato, ascoltando Landini: «Il mercato e l’impresa hanno la loro rappresentanza, chi lavora non ce l’ha. Allora per ricostruire la sinistra c’è una precondizione: dobbiamo tornare a unire quelli che lavorano che oggi sono divisi, frammentati, precari. Tutti con una gran paura di perdere il loro lavoro, anche nelle aziende metalmeccaniche. Su questo serve una rottura. Dobbiamo ridare speranza, e dire che insieme si può lavorare per migliorare la propria condizione». Tutti insieme, perché «il problema è dove andiamo domani, non dove tu, o lui, eravate ieri».
RICCARDO CHIARI
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