Il compagno Marco Sferini, in questa sede ed in questi giorni, ha affermato di voler riattualizzare il comunismo redigendo un Nuovo Manifesto del Partito Comunista. Nulla di più vero. Aggiungerei io, però, che non basta più parlare di Comunismo in quanto Socialismo scientifico −e quindi Marxismo−.
L’egida di Carlo Marx che è dinanzi noi, che ci protegge e ci difende dallo sfruttamento, non è più quella di una volta, s’è arrugginita, pur conservando le qualità intrinseche e straordinarie. È, questo, un caso eclatante di dissoluzione della forma e conservazione del contenuto, probabilmente Hegel ne avrebbe visto un passaggio aufhebico, di trasformazione e riconciliazione dell’Intero, quella che lui chiamava, per l’appunto, Versöhnung.
Eppure noi, non ci si muove da quel punto mentre ci dividiamo ed arrocchiamo in posizioni assolute, se visti dall’esterno. Siamo giunti ad un orizzonte degli eventi e stiamo per cascare in quel buco nero che è l’oblivione della storia. La nostra società si dinamizza, diventa malleabile come l’oro appena scaldato, anche se s’impoverisce come l’uranio; la struttura deflagra in uno scoppiettio di scintille flebili e moriture: nascono e decedono i mestieri precari. Così, l’orda capitalista assatanata, ingorda, sprezzante, ci sta soggiogando.
È suonata l’ora
È per noi comunisti il momento di rispondere, è l’ora, è il rintocco fatale che ci sprona a riprenderci la nostra dignità intellettuale e filosofica. I nostri quadri di partito più non hanno dato spunto ad una progressione non soltanto delle generazioni al governo, ma anche delle teoria e prassi fondamentali del marxismo e, compiendo ciò, hanno fatto recedere il pensiero, la retorica e le azioni, le lotte a mera opposizione totale a tutto e tutti.
Il Partito della Rifondazione comunista in primis, in comunione con gli altri partiti, deve istituire e deve solennemente dichiararsi l’avanguardia in questa crisi spendendo più tempo per la formazione della reale necessità odierna, la quale non è più la semplice difesa del proletariato (che è anch’esso atomizzato come noi), ma la difesa di tutta la società contro il capitale.
Per fare ciò, occorre riprendere l’opera incompiuta del Moro di Treviri: il materialismo storico e dialettico. Il metodo marxiano, fondato sul riconoscimento del dualismo contrappositivo di due classi in continua evoluzione e lotta nel deflusso storico, ci deve far comprendere la nascita di una nuova condizione societaria e cavalcarla. Non possiamo e non dobbiamo perdere questa occasione di rivalsa, dobbiamo colpire al cuore di una organizzazione criminale e bellicosa partendo dalla scoperta di una sommessa ed ignara terra sfregiata in viso dalle frustate del negriero miliardario.
Ciò che più i compagni e le compagne –anche se non lo ammetteranno mai– non vogliono sentirsi dire è che la borghesia ed il padronato non esistono più. I sessantottini, nella maggioranza dei casi, scendevano in piazza contro questi due schieramenti, ma mentre protestavano era già in atto il debellamento della piccola e media borghesia e pressappoco alla fine delle loro lotte anche il Padronato, con le crisi sistematiche e congiunturali, fu soverchiato dall’ingordigia altoborghese.
Quella società che i marxisti-leninisti criticano sulla base del bipolarismo Proletariato-Borghesia o Padronato-Precariato non è più vera dal momento in cui le stesse fondamenta sono crollate e ci si presenta dinanzi ben altra impostazione trasformista e dinamica del capitalismo finanziario.
Oggigiorno non esistono più mestieri statici e precisi in ogni classe che pertanto dimostrano la funzionalità del mestierante all’oggetto e ciò è una costante che attraversa tutta l’epoca nostra e ci narra la liquefazione crescente di tutti i lavori, a partire da quello più comune: l’operaio. Questo è l’esempio di come lentamente s’è disgregata la concezione feudale e tradizionalista del motto “tutto ha un suo ordine” e che il concetto di lavoro in un sistema teoricamente puro di capitalismo avanzato annichila non soltanto la professione stabile nelle classi più disagiate, ma anche nei piani alti, lasciando come aribitri del libero mercato pochissimi, i quali, però, sono sempre partecipi del moto capitalistico o, per meglio dire, sono i motori immobili di questo.
Il sistema odierno fissa una sola professione stabile: quella del plutocrate e noi non dobbiamo avere paura di affermare ciò a costo di rubare dal gergo fascista una terminologia esatta ed atta ad esplicare la situazione stante.
Il cambiamento di rotta
Partiamo dal modus operandi. La morte della borghesia per com’è stata conosciuta dal novecentesco bipolarismo è la dimostrazione storica dell’avvento di una era nuova, quella del cambiamento di rotta terrificante e cannibale del Neoliberismo ai danni della stessa società borghese, la quale, pur se bigotta e statica, manteneva nelle sue radici un che di rivoluzionario, quella scintilla atavica di democrazia e conciliarismo da cui s’era evoluta ed ove era giunta all’apogeo con i giacobini e che aveva portato nel mondo occidentale tanti “cattivi maestri”. Questo processo nei pensieri nostri s’è trasposto nella forma di aristosi capitalizzante o monopolistica, ovverosia il processo graduale di degenerazione di una classe sociale da plurima ad oligarchica, in lotta per la supremazia ed il governo unico senza interferenze.
Ci si guardi bene, però, dallo scambiare questa successione con un giudizio morale ai nostri tempi (e lascio questo infausto compito alla reazione, a cui tanto piacciono i moralismi). Ogni rivolgimento sociopolitico, sin dagli albori dell’età moderna, nasce con la contestazione generale, si propone, difatti, con un blocco sociale ampio e ben determinato ad abolire le tante iniquità a sé rivolte: è l’esempio del Commonwealth, della Rivoluzione gloriosa di Guglielmo d’Orange, della Guerra d’Indipendenza americana prima e del movimento antischiavista poi, delle Rivoluzioni francesi (1789, 1848, 1968) e della Rivoluzione d’Ottobre.
In seguito alla rivoluzione, una classe si presenta come fulcro organizzativo e/o ideologico in quel caos livellatore che è “l’appena dopo”, la storia insegna che quel ceto è benestante, dotto, compatto, fautore del principio ribelle. Da quel momento in poi incomincia l’aristosi e sin ora, ahinoi, sembra che ciò sia una tappa obbligata per ogni insurrezione. Tale decadenza pare essere articolata in tre fasi e due modi che concretamente equivalgono nel primo caso all’anaciclosi polibiana (democrazia, oligarchia, monarchia) e nel secondo nell’alternanza vichiana (corso e ricorso storico).
Come ho già accennato nel mio primo articolo, bisogna, però, anche vedere questa cognizione nella sua complessità, nel suo campo d’esistenza; comprendendo che la pratica rivoluzionaria è cosa da pazzi in senso positivo, poiché sprigiona la forza con passione e convinzione, si potrà allora combattere con le stesse armi e parimenti il Capitalismo.
Dalla statica posizione imbalsamata del marxismo-leninismo, sino ad arrivare alle più blande forme di Socialdemocrazia postcomunista sellina, l’egida marxiana s’è fatta anche ombra di padre padrone, il mondo citazionista s’è mostrato per quel che è: dogma totalizzante, ipse dixit ed ex auctoritate. Ma, oltre la filosofia partitica, oltre l’Italia stagnante acquitrino dalle raganelle e ranocchie appestate, molti hanno compreso dei particolari che, ricondotti all’attuale crisi sistematica dell’emozionalità collettiva, pur restando attaccati ad uniche posizioni distanti in molti casi dal Sentimentalismo.
È l’esempio di Toni Negri e dell’operaismo, i quali riportano al concetto di libertà la rottura col lavoro, di Slavoj Žižek, col dolore della liberazione e la scoperta del macchinario mercificatore delle idee.
Il comunismo ed il suo “Manifesto” rinnovati, però, oltre ad inglobare in sé tutte le esperienze, debbono essere sentimentalisti e devono fare critica della reale condizione di sterilità e depressione che la società ormai stanca, “corpo idiota”, per citare la Ballata dei Drogati di De Andrè, partendo dalla ricerca di una liberazione totale dalla schiavitù dei sentimenti, partendo dalla strutturazione dei metodi ingannatori che il capitale, volgendo a se e risucchiando l’amore, la passione e la felicità, ha saputo trasformare in semplici oggetti e di conseguenza in apparenze. Ecco, dunque, la nuova via, non italiana, ma mondiale al comunismo.
GIANMARCO MEREU
redazionale
7 febbraio 2017
foto tratta da Pixabay