«Sì, lo sai, la forza che hai. Sì, lo so, la forza che ho». Dalla testa del corteo della straordinaria manifestazione organizzata ieri a Roma dalla rete Non Una Di Meno era questo lo slogan ripetuto, per dire che – come recitava un altro striscione – «guerriere sempre, vittime mai». O forse non si trattava di uno slogan, bensì erano le voci, le tante voci di numerose generazioni che ieri si sono mostrate, fianco a fianco per dire no alla violenza maschile contro le donne.
E proprio quella forza, inaddomesticata e assertiva, si respirava tra le migliaia di presenze che ieri hanno cominciato a invadere pacificamente piazza Esedra e che hanno sfilato fino a piazza San Giovanni. Non erano lì per rivendicare, ma per dire che – dalle giovani alle meno giovani – sanno di sé. In effetti non è da ieri che lo sanno, sanno quale è il proprio desiderio, quale è il proprio bene senza tutele da parte di uno Stato che decide di proporre un piano antiviolenza senza neppure consultarle e che invece è proprio con quella piazza colma di appassionata radicalità che dovrebbe parlare.
SANNO DELLA LORO FORZA insomma grazie alla fatica, spesso trascurata o ignorata da finanziamenti risicati senza progetti istituzionali lungimiranti, e al lavoro che da anni molte di loro svolgono nei Centri antiviolenza, nei collettivi, nelle associazioni, nei movimenti.
Le parole più utilizzate, presenti nei cartelli, nei visi, negli ombrelli e nelle tele enormi, sorrette da chi si è dato appuntamento a Roma da tutte le parti d’Italia, raccontavano diverse cose. Intanto che il lessico di una grande, potente mobilitazione passa per una reinvenzione del linguaggio.
In parte – si potrà obiettare – una fenomenologia già conosciuta negli slogan più noti come «Io sono mia» – ripetuto più volte e in diversi punti del corteo – oppure «Le strade libere le fanno le donne che le attraversano». D’altro canto invece si è assistito a una presa d’atto che deve molto al femminismo e a ciò che di esso è circolato anche tra le giovani – e giovanissime – generazioni. Non è un fatto anagrafico ma di generazione anche politica che racconta una materialità e un presente davanti a cui porsi in ascolto. Tra gli striscioni ci sono stati i confronti di questi mesi, e di questi anni, la consapevolezza di una libertà femminile che sa misurarsi con i molti (non moltissimi) uomini presenti ieri in piazza. Anche loro giovani e meno giovani, insieme a bambine e bambini. Sì, perché nel corteo che ha accolto duecentomila anime, perlopiù donne, quelli che brillavano erano almeno due segnali, importanti e ineludibili: il mutamento dell’immaginario a proposito della narrazione della violenza maschile contro le donne di cui farsi carico insieme e le tante generazioni, trasversali, anche negli anni e nelle pratiche.
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ALESSANDRA PIGLIARU
foto tratta da Pixabay