Tutto come da copione

Non mancava che la benedizione finale della Casa Bianca. Dopo i pubblici sostegni ottenuti da Angela Merkel, Sergio Marchionne, J. P. Morgan, Confindustria, dall’ambasciatore statunitense in Italia e dal...

Non mancava che la benedizione finale della Casa Bianca. Dopo i pubblici sostegni ottenuti da Angela Merkel, Sergio Marchionne, J. P. Morgan, Confindustria, dall’ambasciatore statunitense in Italia e dal commissario europeo Moscovici, Barack Obama ha chiuso il cerchio di sostegno alla controriforma costituzionale del governo Renzi.
Del resto, vi sareste per caso aspettati la discesa dall’areo presidenziale italiano, l’accoglimento degli illustri ospiti e poi un “endorsement” del presidente della Repubblica stellata per il NO al referendum?
Questo sì che avrebbe fatto scalpore e, forse, ci avrebbe anche leggermente imbarazzato: ci saremmo chiesti, con qualche ragione, “ma dove abbiamo sbagliato”?
Invece possiamo continuare la nostra lotta tranquilli: tutto procede come previsto. Grandi gruppi finanziari, padroni e amministratori delegati di aziende internazionali, istituzioni economiche europee e americane, tutti gli esponenti del capitalismo mondiale, del Vecchio Continente e dell’Italia che rotola giù dal dirupo delle cifre negative sull’occupazione proprio in queste ore rilanciate dall’Inps, tutti provano a tenere in piedi il traballante castello di finzioni messo in essere dalla propaganda a favore di una riforma che negli slogan è l’esatto contrario di ciò che è nel testo malamente scritto e che vuole trasformare il Paese da repubblica democratica parlamentare a repubblica governativa.
Barack Obama elogia Renzi, elogia le sue riforme, elogia l’impegno dei soldati italiani a difesa della diga di Mosul nelle ore in cui si combatte da più parti per la liberazione della capitale curda in Iraq dalle truppe del califfato nero.
L’Italia, insomma, è e rimane un prezioso amico degli americani e, sentendo le parole del presidente statunitense, Renzi può addirittura aspirare alla leadership dell’Europa intera.
Dal punto di vista dei mercati e del capitale, certamente. Del resto, quando c’era bisogno di maggiore stabilità, come ha ben detto Fausto Bertinotti in una recentissima intervista, fu proprio l’uomo della stabilità a tutti i costi, Giorgio Napolitano, a sostenere un cambiamento al vertice del governo senza passare attraverso le regole, ma attraverso le lettere provenienti da Bruxelles che invitavano l’Italia ad un adeguamento veloce ai parametri imposti dal Fiscal Compact e che, quindi, avevano bisogno di un uomo di fiducia, di assoluta fiducia.
Matteo Renzi, generazione giovane e rottamatore di una classe dirigente socialdemocratico-democristiana che aveva fatto nascere e guidato il PD fino ad allora, venne nominato per questo ruolo importante.
Gli effetti delle riforme in campo economico non sono tardati a farsi sentire: il presidente del consiglio può continuare a magnificare la sua “legge sul lavoro”, il tanto famigerato “Jobs act”, ma ciò che ci comunica l’Istituto per la previdenza sociale è ben lontano da una lettura ottimistica della realtà creata dalla madre delle riforme liberiste renziane: il mercato del lavoro è stagnante e i padroni, senza più sostegni statali, non assumono, anzi licenziano.
Crollano del 33% i contratti a tempo indeterminato e i licenziamenti aumentano soprattutto individualmente: la messa da parte dell’articolo 18 qui si fa sentire tutta. Infatti, si mandano a casa i lavoratori “per giusta causa e giustificato motivo soggettivo”: gli effetti delle “impressionanti” riforme (Angela Merkel dixit… a suo tempo…) sono l’aumento del 28% di licenziati.
Il Jobs act ha aumentato solo la precarietà, il lavoro a chiamata, il popolo schiavizzato dei voucher e non ha reso stabile nessun lavoratore, non ha creato un ricambio generazionale, ma ha sommato vecchie e nuove incertezze sul futuro.
Ma tutto questo non conta. La Casa Bianca interpreta benissimo il suo ruolo e appoggia il legame capitalistico tra America e Italia, tra due paesi che sono stati e sono in parte ancora in grande difficoltà economica e che, per risolverla, hanno prodotto fasi crescenti di prolungamento della propria politica di risanamento anche attraverso le guerre d’esportazione della democrazia in Medio Oriente e in Africa.
Del resto, un maggiore impegno all’Italia, viene chiesto da Obama proprio sul fronte libico. Non è un caso…
Qualcuno potrà affermare che tutto questo col merito del referendum non c’entra. Invece è il cuore della riforma, perché è l’approdo cui vuole giungere: più briglia sciolte per il governo che deve potersi occupare degli interessi di chi fa profitti senza troppe discussioni, senza lacci, lacciuoli e vincoli democratici che sono solo una perdita di tempo anche se fanno sentire il popolo ancora leggermente “sovrano”.
La sovranità vera è dei mercati. Bando alle ipocrisie! Quindi, tanto vale abolire anche l’ultimo ostacolo sulla via del controllo diretto della gestione politica degli interessi economici del capitalismo italico proiettato sul piano europeo.
Una riforma costituzionale “di destra”, apertamente appoggiata da chi ogni giorno sfrutta tutti i lavoratori e chi non ha nessuna speranza di futuro, va contrastata con un NO “di sinistra”, quindi con una azione altrettanto apertamente di classe: del ritorno di una classe sociale oggi frantumata, dispersa, in diaspora. Della classe di chi non possiede le chiavi della finanza, delle borse, dei dividendi azionari, del controllo delle fabbriche e di ogni altro strumento che produce quel profitto che è la tomba della vita di centinaia di milioni di moderni proletari.

MARCO SFERINI

19 ottobre 2016

foto tratta da Pixabay

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