Un premier a galla nella palude

La crisi di Renzi. Il sistema politico italiano è bloccato. Non prevede né consente cambiamenti, per cui regala al governo in carica uno spazio indefinito di sopravvivenza. O di agonia

Non c’è dubbio, si avvertono cigolii sempre più nitidi e sinistri. Il governo traballa. La retorica del suo capo è ormai patetica nella sua ripetitività. E se si è ripetitivi con la pretesa di essere originali e sempre spumeggianti, non si è soltanto molesti, si precipita nel kitsch. Nessuna delle già consuete balle regge più. Non quelle sulla crescita (a zero). Non quelle sulla trasparenza e la discontinuità (la rottamazione, sfociata nel plateale insediarsi di una nomenklatura). Non quelle su un futuro ormai abbondantemente passato.

Tutto vero. Al punto che persino opinionisti in un primo momento ben disposti e inclini alla complicità propagandistica si concedono ora sortite irriverenti e beffarde. «Se mia nonna avesse le ruote…»: non siamo ancora al cafone in camicia bianca e in odor di logge, ma non ne siamo nemmeno granché distanti, e senza più lo spauracchio di dimissioni forzate. E tuttavia.

C’è, nonostante tutto, un ma grosso come una casa, che stupisce non sia stato ancora messo debitamente a fuoco dai tanti osservatori attratti dalla crisi verticale di credibilità del governo Renzi. Il fatto è che le cose si sono messe in questi anni – gli ultimi 4 o 5 in particolare, a partire dal secondo mandato di Napolitano – in modo tale che il sistema politico italiano è bloccato. Non prevede né consente cambiamenti, per cui regala al governo in carica uno spazio indefinito di sopravvivenza. O di agonia.

Renzi è in crisi da tempo. Le sue politiche sono palesemente fallimentari fin dall’inizio. Malgrado la fanfara della stampa amica, le mance demagogiche non hanno fruttato un consenso durevole, dopo la fiammata delle europee. Le scelte di radicale restaurazione oligarchica irritano gran parte degli elettori democratici sin dai tempi del Jobs Act e del primo attacco al sindacato, dai tempi della Buona scuola e dell’idillio con Marchionne, dai primi annunci del progettato scempio della Costituzione. Non c’era bisogno del pasticciaccio con le «banche di famiglia» in Etruria, delle porcherie alla Rai e ora dei dati Istat e degli spudorati tentativi di cattivarsi i vertici delle magistrature. Allora perché, ciò nonostante, Renzi regge? Perché passano i mesi e gli anni e non accade nulla?

Basta forse il soccorso rosa – invero puntuale, amorevole, zelante – della cosiddetta sinistra del Pd? Non basta. Il fatto è che al dunque Renzi vive di rendita grazie all’assenza di alternative plausibili. La vera, paradossale e assai spiacevole novità che si è instaurata, prima con il «governo del presidente» – la sciagurata scelta di imporre Monti – poi con la cacciata di Letta due anni fa, è che il Pd è padrone della scena politica proprio da quando è saldamente divenuto un partito di centro, conservatore, moderato, funzionale alla difesa degli interessi e dei poteri forti. Difatti che cosa si potrebbe fare oggi per liberare il paese dall’ingrata presenza di questo governo?

Di certo, votare No al referendum costituzionale, su questo non ci piove. Ma poi? Ammesso che in parlamento si apra una crisi e si vada alle urne, votare forse Grillo con i suoi vigorosi masanielli, homines novi dall’accento peronista? Per non parlare del resto del teatro politico ovviamente, che – fatta qualche debita ininfluente eccezione – può soltanto disgustare chi abbia a cuore il bene del paese. Questo è il pantano nel quale ci troviamo, un po’ come in tutta Europa, dove siamo costretti a trepidare per le sorti elettorali della Cdu nei Länder orientali come già dei socialisti in Francia, visto che le uniche alternative concrete rischiano di riesumare i peggiori fantasmi del passato.

Questa palude è, per tornare a noi, il risultato della vertiginosa regressione di quella che in un passato tutto sommato recente fu la sinistra – comunista e socialista – in Italia. Quando sul manifesto cerchiamo di discutere di ciò che è diventata la politica in questo paese – se sia o meno «morta» e a che cosa si sia ridotta (ci torneremo) – anche a questo stato di cose ci riferiamo. A una situazione molto concreta, molto reale ed evidente, molto quotidiana. Non dibattiamo soltanto di massimi sistemi, benché senza avere presenti anche i sistemi massimi si rischi seriamente di non capire nulla neppure dei minimi. Il nostro vuol essere un discreto segnale di allarme, per dire che ci stiamo inconsapevolmente assuefacendo a una situazione sempre più desolante e vuota di senso. E pericolosa. Da ultimo anche tante acuminate analisi sulle difficoltà del governo in questi giorni confermano questa sensazione. E appaiono un chiaro sintomo di poca consapevolezza.

ALBERTO BURGIO

da il manifesto.info

foto tratta da Pixabay

categorie
Politica e società

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