Tutto si può dire del presidente turco Erdogan tranne che non sia un uomo meticoloso. Tanto pignolo che la campagna di purghe di massa colpisce anche i morti. Non solo i militari deceduti nel tentato golpe del 15 luglio, seppelliti nel “cimitero dei traditori” e destinati alla gogna eterna, ma anche gente spirata qualche secolo prima del putsch.
Nelle liste di proscrizione delle autorità turche è finita la drammaturgia mondiale: Shakespeare, Chekhov e Brecht. Accanto a loro, un intellettuale vivo e vegeto, premio Nobel per la Letteratura, Dario Fo. La Dt, Direzione delle imprese nazionali di teatro, ha cancellato dai cartelloni della stagione teatrale che si aprirà tra un mese esatto tutte le opere dei quattro autori.
«Apriremo le nostre sale solo ad opere locali al fine di contribuire all’integrità e all’unità della patria e rafforzare i sentimenti nazionali», ha detto il vice presidente della Dt, Nejat Birecik. L’apoteosi dell’autarchia teatrale e di uno spicciolo nazionalismo culturale che sono parte integrante di un panorama fatto di censura e pensiero unico.
L’olio di ricino dispensato a piene mani dalle autorità non risparmia – ovviamente – il mondo accademico, intellettuale e mediatico, i settori che definiscono la narrativa nazionale, plasmano la società interna e la raccontano all’esterno.
Ogni regime, la storia insegna, che voglia imporre la propria narrativa punta sulla propaganda di Stato e l’appiattimento delle voci critiche, l’alienazione dei discorsi indipendenti. La mannaia dell’Akp, il partito di governo, ha tagliato la testa ai vertici universitari, ai quotidiani non allineati, ai teatri.
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CHIARA CRUCIATI
foto tratta da Pixabay