Sostenere che quella in corso non è anche una guerra di religione sarebbe come negare la storia, dalle Crociate in poi, e abiurare i testi sacri delle religioni monoteiste. Certo il papa fa il suo mestiere e usa la religione per predicare la pace. Del resto non c’è dubbio che dietro la religione si nascondano altri interessi: economici, geopolitici, di potere. Ma si può dire che la religione è estranea alle lotte di potere? Non lo è e non lo è mai stata, è sempre esistito nella storia un intreccio perverso tra lotta politica e religione. Lo scontro in Medio Oriente tra la corrente sunnita (guidata dai wahabiti sauditi) e quella sciita (con a capo l’Iran) dell’islam non riguarda solo la religione.
Non a caso si combatte anche usando il prezzo del petrolio. Ma anche ignorarlo non serve a risolvere il conflitto.
Il terrorismo islamico fa riferimento a una categoria dell’islam: il jihad. Jihad ha molti significati: dallo sforzo per migliorare se stessi fino alla guerra per la causa di Dio, definita genericamente «guerra santa». Nel Corano si legge: «Combattete, dunque, per la causa di Dio» (sura II, 244) e «Combattano per la causa di Dio coloro che vendono la vita di quaggiù per comprare quella dell’Aldilà, ché gran premio daremo, sian uccisi o vincano, a coloro che combatteranno per la causa di Dio» (Sura IV, 74). Anche nella Bibbia non mancano riferimenti alla guerra santa (Deuteronomio) ed è una categoria fondamentale negli scritti apocalittici. Nella Regola della guerra, infatti, si elencano le norme della guerra santa che alla fine dei tempi vedrà contrapporsi «i figli della luce» ai «figli delle tenebre» e Dio diventerà il fautore esclusivo della vittoria. Nella storia cristiana non mancano certo le guerre di religione e la violenza dell’inquisizione che ha bruciato, seviziato, torturato milioni di eretici.
Che cosa ha interrotto questa violenza religiosa? Gli ideali incarnati dalla filosofia dei Lumi e dalla rivoluzione francese che hanno posto le basi della società moderna introducendo il concetto di laicità e dei valori universali, valori tuttora validi. Sebbene l’eco della rivoluzione francese abbia fatto il giro del mondo, i suoi principi si sono diffusi solo in Europa, dove poi, ridotti a sinonimo di terrore, sono diventati oggetto di una campagna di demonizzazione.
Nel resto del mondo invece la religione tradizionale ha mantenuto un ruolo dominante. Anche negli Stati uniti, dove il presidente eletto fa ancora il giuramento sulla Bibbia. Un mix tra religioso e politico reso evidente nei termini usati per definire i nemici: «Impero del male » e «Asse del male». Mentre gli Stati uniti erano per Khomeini il «Grande Satana».
Il mondo arabo-musulmano ha conosciuto un periodo di laicità e persino di osservanza socialista (modello sovietico) con la fine della colonizzazione, ma il crollo dell’Unione sovietica e la sconfitta nelle guerre contro Israele, hanno distrutto il sogno di una nazione araba e hanno favorito la nascita dei movimenti islamisti. Il ruolo dell’occidente, soprattutto degli Stati uniti, a favore degli islamisti e del jihad comincia durante la guerra fredda nella lotta al comunismo. Come? Finanziando e addestrando i jihadisti che combattono contro l’occupazione sovietica dell’Afghanistan in nome dell’islam wahabita. A guidare questi combattenti è Osama bin Laden. Ancora prima, nel 1979, temendo un’interferenza sovietica in Iran dopo la caduta dello scià, gli Usa sostengono la presa del potere da parte di Khomeini. Subito dopo ne subiranno le conseguenze.
Più recentemente le avventure neocoloniali dell’occidente in Afghanistan e Iraq hanno sicuramente contribuito ad ampliare e rafforzare quei movimenti che hanno scelto la strada del terrorismo, ma i Gruppi islamici armati (Gia) avevano già provocato centinaia di migliaia di morti in Algeria. In Algeria non c’è stata nessuna invasione, anche se a importare la guerra santa sono stati gli algerini che avevano combattuto in Afghanistan. E lo scontro non è stato tra occupanti e occupati ma tra i sostenitori di due progetti di società: uno teocratico e l’altro laico. Naturalmente i laici erano considerati infedeli. Proprio in Algeria vent’anni fa sono stati uccisi i sette monaci di Tibhirine e il vescovo di Orano, monsignor Claverie, molto apprezzato dai musulmani. Prima di arrivare a Jacques Hamel, sgozzato nei giorni scorsi, i cristiani uccisi e rapiti come padre dall’Oglio, di cui si ignora la sorte, sono stati centinaia.
I massacri quotidiani dell’Isis sono atroci e il loro fanatismo raggiunge obiettivi mai raggiunti prima dal terrorismo islamico: la destabilizzazione dell’occidente. Questo avviene anche con l’aiuto della stampa – soprattutto la tv – che amplifica la loro propaganda con dirette interminabili appena arriva la notizia di un attacco o di una sparatoria. Tutto viene attribuito subito all’Isis, che del resto rivendica ogni azione sanguinaria riuscita. «Allah Akbar» ormai è entrato nelle orecchie di tutti e risuona al primo pericolo. Così si alimenta la psicosi o si banalizza il terrorismo.
Questo vuol dire che siamo ostaggio del terrorismo islamico? No, anche perché le prime vittime sono i musulmani. E proprio alcuni intellettuali musulmani consapevoli del fatto che all’origine del fanatismo c’è la religione stanno promuovendo la separazione della religione dalla politica, dell’islam dallo stato per sciogliere il nodo del potere che riguarda entrambi. Il processo di secolarizzazione è lungo e sanguinoso e quello in corso in Medio oriente lo è sicuramente.
All’occidente non è bastata la secolarizzazione per liberarsi della religione, anzi la crisi della legittimità politica induce a strumentalizzare la religione, come sostiene George Corm, storico libanese. Il quale aggiunge: «Allo stesso modo, può accadere che la crisi della religione strumentalizzi la crisi della legittimità politica». In ogni caso la strumentalizzazione avviene sui valori religiosi più integralisti.
GIULIANA SGRENA
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