Il 1918 rappresentò la fine dei grandi imperi: dilaniato dalla rivoluzione e dalla guerra civile scomparve quello russo, mentre – sconfitti militarmente e suddivisi in diversi stati – sparirono dalla scena politica internazionale l’impero tedesco, austriaco e ottomano con le rispettive caste militari. In Turchia però l’esercito riguadagnò subito un ruolo di prestigio, grazie alla vittoria sulla Grecia che dopo la guerra aveva attaccato la Turchia per impossessarsi di Smirne. Il nuovo stato turco poteva così dire di essere sorto da una guerra vittoriosa e non dalla sconfitta di un impero fatiscente; Kemal Ataturk – che non bisogna dimenticare era stato un soldato – fece il resto riformando profondamente la società turca.
Le prime prove (interne) arrivarono quando tra il 1925 e il 1937 furono stroncate duramente ben tre rivolte curde. Tra le due guerre non si può dire quindi che nel paese abbiano regnato pace e democrazia ed anzi, anche durante la seconda guerra mondiale, pur osservando la più stretta neutralità, il sospetto fu sempre che la Turchia potesse schierarsi con le potenze dell’Asse. La classe militare infatti, forse ricordando ancora l’alleanza con gli imperi centrali, fu piuttosto ambigua. La scelta successiva fu di schierarsi al fianco delle democrazie occidentali, e il ruolo svolto fu determinante da un punto di vista geopolitico. L’adesione alla Nato e la partecipazione alla guerra di Corea, dove combatté una brigata turca inserita in una divisione di fanteria americana, ne rafforzarono ruolo e prestigio. L’apporto stesso alla campagna non è da sottovalutare perché i soldati turchi ebbero quasi novecento caduti.
Il primo intervento diretto delle forze armate turche nella vita del paese avvenne nel 1960, dopo un periodo di difficoltà economiche e una crisi politica: il 27 maggio, dopo essere stato nominato capo di stato maggiore dai golpisti, il generale Cemal Gürsel assunse il potere. Il 30 maggio fu nominato capo dello stato e del governo, ma nel frattempo i suoi predecessori civili erano stata arrestati e deportati nell’isola di Yassiada nel mar di Marmara. Nella stessa isola in seguito si svolse un maxi processo contro 592 ex ministri, deputati e alti funzionari accusati di corruzione, appropriazione indebita e attentato alla costituzione. Dopo un anno di dibattimento le sentenze furono pesanti, ma delle quindici condanne a morte emesse ne furono eseguite solo tre nei confronti dell’ex primo ministro Menderes e di due suoi collaboratori.
Nel 1971 il copione fu simile: dopo la presa del potere da parte dei militari seguì un processo con tre condanne a morte. Nel settembre del 1980 ci fu il terzo golpe guidato dal generale Kenan Evren al quale seguirono altri processi con relative condanne a morte. Sembra che dal 1980 al 1984, anno in cui le esecuzioni cessarono fino all’abolizione della pena di morte proclamata nel 2001, le sentenze capitali eseguite in tutta Turchia siano state una cinquantina di cui metà per crimini a sfondo politico. Diverse tuttavia le personalità degli imputati: rispetto il processo di Yassiada, non si trattava infatti di politici destituiti, ma di estremisti di destra o di sinistra responsabili di violenze. In tutti e tre i casi citati le forze armate dichiararono comunque di aver preso il potere per la difesa dello stato e dopo un biennio di leggi eccezionali lo hanno sempre ceduto. Fino a ieri …
GIOVANNI PUNZO
da Remo contro
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