Non è una giornata storica ma poco ci manca. Per la prima volta nella sua vita politica, Matteo Renzi viene sconfitto praticamente ovunque: la sua proposta del Partito della Nazione non funziona, la sua azione di governo peggiora gli umori e le tasche degli italiani, appesantisce il magro tenore di vita dei ceti più deboli e tutto, alla fine, sulla bilancia fa peso.
E si vede: laddove i Cinquestelle rimontano con centinaia di migliaia di voti rispetto al primo turno, il PD ne raccoglie poche migliaia. Non trascina elettori dalla sua parte e nemmeno riesce a catalizzare consensi in nome dell’antipolitica, del pericolo delle destre laddove, come a Savona, si sono riprese il Comune dopo diciotto anni di ininterrotta amministrazione di centrosinistra.
L’astensionismo aumenta, vota metà della popolazione avente diritto a farlo, la democrazia alla lunga non può trarne grandi benefici. Le dichiarazioni ottimistiche del “dobbiamo essere più incisivi” lasciano davvero il tempo che trovano e sono un modo per tenere sotto controllo un’ansia da coito interrotto (mi scuso per la metafora “volgare”, ma penso calzi a pennello in questa occasione), laddove il coito è interrotto davvero e molte, molte volte.
Roma e Torino sono le due grandi sberle che il capo del governo prende. Ma anche Napoli e Cagliari, dove invece vincono forze dichiaratamente di sinistra, non sono da meno nel rappresentare il disagio ampio, trasversale e variegato che attraversa l’intera Italia, stanca dell’uomo solo al comando di un governo che ha tutelato solo profitti e privilegi finanziari colpendo, di contro, pensioni, diritti dei lavoratori, scuola pubblica e beni pubblici di primaria importanza.
Il centrodestra unito riesce ad ottenere buoni risultati, i grillini sfondano praticamente ovunque salvo rari casi (come la mia Savona dove, peraltro, sono il primo partito numericamente parlando) e la sinistra si fa intravedere nei momenti in cui replica patti amministrativi che hanno espresso un rapporto di continuo contatto con i cittadini, ridimensionando la potenza populista del movimento pentastellato e mostrando tutta l’incapacità del PD di essere una alternativa credibile per le persone che fanno fatica a sbarcare il lunario e che si sono viste falciare anche gli “stati-sociali” locali nelle singole città del Paese.
Dunque, la sconfitta di Renzi è ben meritata e penso sia stato giusto esprimere questo disagio anche in altri modi: con schede nulle, bianche e, seppure non rientri nella mia cultura politica e civica, non recandosi al voto.
Del resto, l’astensionismo crescente (nove punti in percentuale in più rispetto al primo turno) è più di un disagio: chi va a votare, qualunque metodo di voto adotti, comunica comunque un rispetto verso le istituzioni, verso la Repubblica, verso il diritto costituzionale ad esercitare anche un dovere civico conquistato storicamente con lotte non da poco sui monti contro il nazifascismo.
Chi rifiuta la chiamata ai seggi rappresenta la parte più disaffezionata, meno vicina e più refrattaria rispetto a chi esprime il cosiddetto “voto di protesta” che, questa volta non possiamo dire sia stato tutto concentrato sui Cinquestelle. Anche la sinistra sparsa ma unita e il centrodestra, anch’esso sparso eppure unito, sono diventati alternative da considerare per una parte di elettorato che non poteva più mettere la croce sul simbolo del partito che, ad oggi, è quello più odiato e disprezzato d’Italia insieme al suo segretario – presidente del Consiglio.
Persino Forza Italia è stata superata in questo. E, francamente, non avrei mai creduto di poter scrivere una cosa simile perché pensavo, dopo vent’anni di berlusconismo (di cui il renzismo è comunque erede a pieno titolo), che ormai il centrodestra non avesse la forza per sfidare il rottamatore di Firenze e provare, ad esempio, a conquistare Milano. Riesce a prevalere a Triste, vince a Savona e si avvicina – seppur con un distacco maggiore rispetto a quello ambrosiano – al traguardo anche a Bologna.
Il capolavoro di Renzi è una sconfitta trasversale: non ha perso solo contro Grillo, Di Maio e Di Battista. Ha perso anche contro De Magistris, ha perso contro il centrodestra in territori un tempo considerati “roccaforti rosse”.
Ma, del resto, roccaforti “rosse” ce ne sono ben più poche. Per chi si è illuso, nella buona e nella cattiva fede, che il PD fosse ancora un avamposto di sinistra, questa regola delle roccaforti perse vale forse ancora.
Ma per chi si era palesemente accorto della fine del centrosinistra come l’avevamo conosciuto con le due esperienze prodiane, era evidente che un soggetto politico che si propone come forza di governo e governa tenendo conto soltanto delle istanze dei poteri più forti e aumentando le impossibilità di accesso al mercato del lavoro, introducendo quella nuova forma di caporalato che sono i pagamenti in voucher, tagliando i costi della sanità pubblica, sostenendo posizioni referendarie contro l’ambiente e promuovendo una controriforma della Costituzione che ci porta verso una repubblica oligarchica dove il potere maggiore lo ha l’esecutivo, chi ha avuto bene davanti ai suoi occhi e alla sua coscienza tutto questo scenario non ha potuto non considerare varie ipotesi: astensione, voto di protesta ai Cinquestelle, voto nullo, scheda bianca.
Penso che il voto al centrodestra meriti una riflessione più approfondita perché gli elementi che ne vengono fuori sono: una debolezza della Lega Nord che non immaginavamo se paragonata alle comparsate televisive d’onnipresenza mediatica di Matteo Salvini e, in secundis, una ricomposizione dello schieramento quasi “storico” del vecchio armamentario berlusconiano che non era credibile potesse realizzarsi, soprattutto data l’evidente voglia di crescita personale e politica del leader ex-padano e neo nazionalista italiano.
Dalla sconfitta di Renzi e del PD in queste elezioni non può che venire del bene per chi sta peggio in Italia.
Ora lavoriamo a destrutturare ancora di più questo PD, a batterci sempre contro ogni destra: economica, ideologica e populista-peronista. Lavoriamo a ricostruire la “partes” comunista in una sinistra di alternativa che deve essere per forza un QUARTO POLO.
Lavoriamo alla costruzione di un enorme consenso di massa, cosciente e quindi civico e sociale per dire NO al referendum renziano contro la Costituzione che si terrà il 2 ottobre. Costruiamo ovunque i comitati, aderiamo, promuoviamo iniziative in ogni quartiere. Il governo e il suo capo ferito le tenteranno tutte per creare un cortina fumogena di disinformazione fondata ancora sulla “governabilità”, la “ripresa”, il “benessere collettivo” e una nuova stagione di prosperità che non esiste e, purtroppo, non è nemmeno all’orizzonte.
MARCO SFERINI
20 giugno 2016