Le affermazioni più disparate, le opinioni più diverse e articolate in diversi filoni di pensiero che si identificano ora con questo e ora con quel padre della chiesa, ci sta tutto sul fronte aperto del dibattito costante e ininterrotto tra laicismo e religiosità, tra Stato e Chiesa, tra scienza e fede.
Ciascuno conserva per sé le sue opinioni. Ma rimani colpito quando, un sabato mattina, accendi la TV: chissà come mai è puntata sul canale della Conferenza Episcopale Italiana, TV 2000. C’è una diretta da piazza San Pietro: tutto convenzionalmente normale, perfettamente in linea con gli scopi della rete ecclesiastica.
Non essendo credente, hai anche l’alibi che ti salva dal doverti giustificare sulla non consapevolezza di quanto avviene nella storica piazza vaticana. Non si tratta di una udienza del mercoledì, perché è sabato appunto. E allora c’è certamente qualche evento speciale.
Le telecamere, impietose, inquadrano la salma di Padre Pio e allora tutto torna. I fedeli stanno aspettando papa Francesco: è una delle giornate del giubileo della misericordia.
Compare un frate che intrattiene i fedeli e parla di psicologia, di animo, di fede e di vicinanza con dio. Mi dico che tutto sembra abbastanza consuetudinario a parte quel riferimento alla psicologia che stona, che non è tipico delle omelie e dei messaggi sia della piccola chiesa di paese che della più grande basilica del mondo.
Ed è proprio lì che torna il pensiero del frate, sulla psicologia, sui mali dell’animo, sulle inquietudini che ci attanagliano un poco tutte e tutti ogni giorno e che a volte facciamo finta di non sentire.
Sostiene il religioso che “il vero psicologo dell’animo è lo Spirito Santo“, una delle tre persone della Santissima Trinità. E’ una interpretazione del significato e del ruolo soggettivo della scienza psicoanalitica molto particolare. Dunque la dottrina cattolica ora si spingerebbe anche a considerare la fede non soltanto un ponte di collegamento tra l’essere umano e la divinità ma assumerebbe la funzione di rimedio per i disagi interiori, quelli che fanno riferimento al nostro lato nascosto, alla psiche?
Se lo Spirito Santo è capace di intervenire con la sua “grazia” fin dentro la metafora figurativa del cuore umano inteso come concentrazione di sentimenti, quindi come “anima”, questo non significa che il concetto cattolico di “anima” si possa declinare al maschile singolare, in “animo” e farne un tutt’uno con qualcosa che non appartiene alla psiche.
L’ “anima” e l’ “animo” sono uguali e diversi al contempo: la prima è l’immagine della speranza di una sopravvivenza delle nostre identità dopo la morte; il secondo è inteso come essere pensante, come essere nascosto, come “io”, come “inconscio”, come luogo oscuro dove, a prescindere dalle nostre volontà e dalla ragione, si formano tutte le nostre sensazioni che non possiamo guidare ma solo vivere, quindi, in un certo senso, subire.
Il fraticello di piazza San Pietro non ha avanzato spiegazioni su come lo Spirito Santo curerebbe i mali dell’animo. Ha lasciato la pratica, diciamo così, “sospesa”. E ha fatto bene, perché se si fosse addentrato in questo terreno minato tanto per la religione quanto per la psicoanalisi, avrebbe generato soltanto confusione e smarrimento nei fedeli: invece, in questo modo, ha ottenuto il risultato di unificare “anima” e “animo” in uno stesso concetto e ne ha comunicato l’intangibilità, la non interpretabilità da parte di chiunque.
La Chiesa sa creare delle verità assolute con poche, semplici, innocenti parole. Con un lessico ripetuto incessantemente e che fa riferimento, per essere adeguatamente sostenuto dalla fede o dalla superstizione dei fedeli, alla imperscrutabile volontà divina.
A me ha colpito questo aspetto: far credere che un dio possa guarire i disagi dell’animo (che sarebbe contenuto nell'”anima” cattolica).
I disagi interiori nostri, quelli che viviamo passivamente, che arrivano e che spesso scorrettamente combattiamo come avversari, sono soltanto nostri, sono unici come unico è ogni essere vivente. E quei disagi, molto spesso, sono nostri alleati perché in determinate ore della giornata ci comunicano che non stiamo bene, ci fanno soffrire, ci dicono che dovremmo vivere differentemente da come facciamo.
Ma non per questo diventano nemici da ostacolare e combattere: ansie, fobie, attacchi di panico, depressione, disperazione, malinconia, e chi più ne ha ne aggiunga pure, sono amici nostri, sono amici “scomodi”, che magari vorremmo non avere, ma sono pur sempre amici.
Che la Chiesa cattolica oggi tenti anche di sostituirsi alla psicoanalisi e magari alla psichiatria, è l’ultima delle trovate di un potere temporale che continua a cercare nella disperazione umana le radici della sua esistenza e del suo essere ancora una guida salvifica contro l’incomprensione dell’esistenza.
La fortuna religiosa è tutta qui: nell’inspiegabilità della vita, nel fascino misterioso che conserva dal singolo essere vivente fino al più grande mistero che si fa oggettivamente buio e che è l’inconcepibile estensione senza fine (per ora) di quello che chiamiamo “universo”.
MARCO SFERINI
11 febbraio 2016
foto tratta da Pixabay