Vorrei che questo potesse essere l’ultimo pezzo che scrivo sull’acquisizione di un diritto. Ma la storia umana ci insegna che i diritti non sono mai conquiste veramente acquisite per l’eternità, immutabili, graniticamente poste e per questo in qualche modo obliabili e lasciate alla sola disciplina delle leggi.
I diritti sociali, quelli civili, che pure hanno conosciuto nei secoli un lento ma continuo cammino evolutivo, di espansione e di condivisione sempre maggiore tra le nazioni e i popoli, sono fragili oggetti di cristalleria nella casa tanto della legiferazione quanto in quella del processo che porta alla costruzione di un nuovo schema di tutele e di garanzie per tutti i cittadini.
La fragilità dei diritti sta tutta nelle contorsioni che la società assume sotto il peso anche della morale che di volta in volta cambia, ma sta soprattutto sotto il peso di un comune sentire che deriva dallo stato di benessere economico che una società vive e quello di malessere e pauperismo che una grandissima parte della società subisce.
La vita materiale, in pratica, condiziona l’essere sociale dell’individuo e, da qui, il passo è breve verso il successivo condizionamento morale, quindi anche culturale, spirituale.
In quasi tutti i capoluoghi di provincia dello Stivale si sono riempite le piazze per reclamare finalmente una legge che istituisce una forma di riconoscimento dell’unione civile di qualunque coppia di persone. Esattamente un primo passo, perché il disegno di legge Cirinnà non garantisce eguaglianza di diritti a tutti i cittadini. Non potrebbe.
Esiste sempre il matrimonio come unione privilegiata perché nasce da una ispirazione morale che fa riferimento comunque al modello familiare che si usa definire “tradizionale”. Ed in effetti la “tradizione” è questa: quando si parla di matrimonio provate a pensare a cosa ci si riferisce mentalmente? Ci si riferisce all’unione di una donna e di un uomo.
Un riflesso condizionato che passa per incondizionato. Così come il riflesso condizionato di andare per strada e pensare che chi abbiamo davanti sia “ovviamente” eterosessuale.
Il comune senso del pudore, la morale imperante, la visione classica delle cose e dei rapporti sociali ci porta a pensare che tutto si svolga su quella piattaforma naturale che è la mera procreazione degli esseri umani. La grande operazione quotidiana della riproduzione della specie. Che non va interrotta. Un senso collettivo di autodifesa, un istinto di sopravvivenza innato che viene strumentalizzato e fatto passare per un diritto acquisito di tutte e tutti.
Eppure questo diritto è per secoli stato prerogativa maschile, con un patriarcalismo che ha dominato proprio quella sacralità familiare tanto difesa anche in nome di Maria, mamma di Gesù, da pontefici come Giovanni Paolo II.
La donna è stata (nonostante i duecento morti all’anno per mano di uomini, pronunciamoci al passato) dominio maschile tanto quanto ancora oggi l’omosessualità è sotto il dominio di una cultura della normalità eterosessuale.
Eppure le idee corrono tanto quanto corre lo sviluppo materiale di un popolo: oggi persino le peggiori forze reazionarie di destra sono state costrette a scendere a patti con l’evidenza dei numeri, con l’evidenza soprattutto di una attualità che avanza.
La famiglia tradizionale è in crisi non a causa degli omosessuali che non procreano, ma a causa di un modello che non riesce a funzionare più nella società complessa di un oggi carico di diversità quotidiane che sono imbrigliate nella monotonia del legame fondato sulla promessa di una vita insieme.
Funziona solamente se quella promessa ha un retroscena di convivenza ampia, se si incastrano delle particolari situazioni che rendono armonico il vivere insieme.
E questo discorso vale e varrà per tutte le coppie che vorranno e potranno sposarsi. Per cui, senza andare troppo lontano, non è una questione di sessualità, ma di condizioni materiali di vita.
Con il disegno di legge Cirinnà mettiamo un primo mattoncino nella costruzione di un edificio di diritti di cui il nostro sistema legislativo era lacunosamente carente. Aggiunge e non toglie niente: non è contro la famiglia tradizionale, ma è per il riconoscimento anche di forme familiari che si affiancano a quella conosciuta (e riconosciuta) come l’unica possibile.
Non può esiste più una repubblica democratica dove i diritti dei conviventi o dei coniugi sono stabiliti in base alla combinazione sessuale dei contraenti quell’unione. E’ prima di tutto illogico oltre che ad essere incostituzionale, anche se la (speriamo) futura Legge Cirinnà ad adiuvandum si spende per aprire questo cammino.
Le belle piazze colorate di tutta Italia sono la risposta alle tante domande e ai tanti dubbi che vengono prodotti dai sacerdoti dell’intolleranza, della ricerca del consenso per il mantenimento di un potere vecchio che non vuole perdersi per strada e che, per mantenersi vigoroso, deve continuare a sostenere l’unicità di una morale incontrovertibile.
Per fortuna molti cattolici sono più cristiani di quei cardinali che si preoccupano dei bambini e del “gender”, che ne fanno una teoria e che la spacciano per dimostrabile.
Ma l’unica dimostrazione qui si ha nel vedere al mondo così tante persone infelici e prive di un amore che non ha bisogno di riconoscenza alcuna se non quella di essere considerato tale. Ne ha il diritto qualunque forma di affetto, di amore, di relazione.
Ne ha il diritto perché o siamo davvero tutti uguali, e lo siamo da capo a piedi, dalla “A” alla “Z”, dalla nascita alla morte, oppure senza invocare divinità o libri sacri, i buoni uomini di chiesa ci dicano che non esiste uguaglianza civile e che loro soltanto sono a stabilire, per dovuta intercessione celeste, quale tipo di esseri umani possono considerarsi nella verità e quali nell’errore.
Peccato che siamo nel 2016 e che il 1600 è lontano. Peccato che l’hanno bruciato sul rogo perché “diceva la verità”, come canticchiavano un tempo socialisti e comunisti… Ma come mi piacerebbe poterne parlare con Giordano Bruno…
MARCO SFERINI
24 gennaio 2016
foto tratta da Pixabay