La smania di ricostruire una sinistra italiana, un luogo di sviluppo di un rinnovato progressismo italiano, è quasi diventata una nevrosi politica in questi ultimi anni. Anni di sconfitte, di cosiddette “traversate nel deserto” e anni di “resistenza” all’annichilimento che, prima di tutto, si è fatto largo tra le masse sedotte e anestetizzate ora dalla tracotante violenza verbale di Grillo, ora da quella di Salvini e, in parte, dalla prosopopea renziana.
In mezzo a queste armi affilate di ricerca di un consenso di universali proporzioni, le forze comuniste, socialiste di sinistra e ambientaliste, che da sempre si sono ritrovate – a volte più, a volte meno convintamente – in una alleanza alternativa tanto alle destre di governo o di opposizione quanto ai grillini, sono rimaste spiazzate e in cerca di un nuovo centro di gravità permanente.
Ma cosa unisce e cosa davvero può unire differenti culture e forze di sinistra? Può questo processo partire dall’aggregazione di deputati e senatori in un unico gruppo parlamentare per ciascuna camera?
Può questo processo unitario definirsi democratico e plurale se a dettarne la linea non è una costituente “dal basso”, ma una dall’alto?
Intanto bisognerebbe fare chiarezza su chi si unisce e per cosa fare: Fassina, Fratoianni e D’Attorre si mettono insieme per creare prima di tutto un gruppo parlamentare e poi svilupperanno a gennaio le basi per il lancio di un nuovo partito.
E’ un progetto che ripropone, a voi la scelta della metafora più adeguata, o una Sinistra Ecologia Libertà leggermente più ampia della precedente o un Partito democratico della sinistra di nuovo modello.
Una sinistra socialdemocratica, dunque, dai nobili spiriti e dalle nobili intenzioni e che punta, con un po’ di confusione, si spera, iniziale, ad un ruolo di governo (Fratoianni, Fassina) e ad essere il motore del rilancio di un nuovo centrosinistra (D’Attorre).
Non credo che ci possa interessare nulla di tutto questo: per cultura, per obiettivo, per strategia.
Per cultura, perché noi comunisti non aspiriamo a costruire una forza di governo che eluda il tema del “potere”, sia in senso di presa del medesimo (cosa molto, molto lontana nel tempo!), sia in senso di gestione dello stesso.
Per obiettivo, perché noi comunisti non abbiamo come programma anche minimo il rifacimento di un angolo di socialdemocrazia italiana che “copra a sinistra” la prateria lasciata incolta dallo spostamento a destra del Partito democratico renziano.
Per strategia, perché sempre noi comunisti – almeno credo – non ci siamo convertiti alla minima dimensione nazionale trascurando un contesto europeo che invece va visto come il vero orizzonte delle lotte e del congiungimento delle forze nazionali che devono rompere la gabbia dell’Unione europea monetaria e costruire un continente di popoli, di solidarietà, di pace e di giustizia sociale.
Tutto questo si fa con una visione profondamente differente da quella proposta da Stefano Fassina dal palco romano di Sinistra italiana.
E tuttavia io non vedo negativamente la costituzione di questa formazione: serve una sinistra socialista e socialdemocratica che rimetta in campo, per parte sua, il valore che rappresenta e che parli a quel ceto medio che da sempre interpreta come elemento trainante di un riformismo di cui forse molti non avranno sentito la mancanza, ma che ha permesso – in tempi non troppo passati – di permettere, vicendevolmente, a comunisti e socialisti di delineare i confini reciproci, le reciproche identità.
Ai comunisti, soprattutto a Rifondazione Comunista, tocca il compito, lo sforzo e il sacrificio di camminare (magari anche “domandando”, il che non fa mai male) accanto a queste forze rinnovatamente socialdemocratiche, operando per evitare che la cultura della politica e la politica della cultura del nuovo Quarto Polo che nascerà col processo costituente a gennaio 2016 sia una tendenza esclusivamente riformista.
Dobbiamo tornare a far valere quella ragione rivoluzionaria, quello spirito di contraddizione continua per cui chi parla con Rifondazione Comunista sa che parla con un’anima tormentata, critica e non accondiscendente.
Dobbiamo tornare ad essere l’inquietudine non addomesticabile senza prestarci alla caricaturizzazione ormai vecchia del “partito del NO”.
Dobbiamo restare quel Partito che già c’è e che vuole diffondersi nella società ed essere, con i compagni del PCdI e anche con altre comuniste e comunisti senza partito, “la forza che più spinge per avanzare”.
Dobbiamo essere nuovamente lo spirito critico delle ragioni del lavoro, dei precari, dei disoccupati, di un moderno proletariato oggi senza patria politica.
Sinistra italiana, per questo, non esaurisce la nuova forma e la nuova formazione della sinistra di questo Paese. Ne è una parte. E speriamo divenga importante nel suo essere riformista e riformatrice. Ma non è la nostra sinistra, non è il nostro progetto.
Per questo, faremo sicuramente la strada insieme, anche dandoci la mano, ma distinguendo sempre ciò che ci distingue e che è ricchezza politica, intellettuale e morale.
MARCO SFERINI
redazionale
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