Il ministro Poletti, certamente d’accordo con il ministro della (pubblica) istruzione, ha gettato nel marasma più completo la grande popolazione studentesca di tutto lo Stivale italico. La sua dichiarazione sui mesi vacanzieri che, a suo dire, sarebbero troppi ha sollevato un polverone di più che giuste contrarietà.
I meno attenti alla doppiezza del linguaggio polettiano vi leggono la volontà del governo di dare una mano ai giovani per trovare lavoro. I più maliziosi ma anche più attenti vi leggono, invece, quella che è la sottile lingua in codice dell’esecutivo: impiegare i giovani in lavori non retribuiti, di coatto volontariato nei mesi in cui non sono sui banchi di scuola.
Così si forgia, sostiene il ministro, il futuro lavoratore, lo si forma per inserirlo nel meraviglioso mondo precario del lavoro…
La proposta è stata fatta con parole un po’ grossolane, con poco “tatto”, ma del resto se devi dire che i ragazzi e le ragazze dovranno rinunciare ad uno o due mesi di riposo dallo studio per essere impiegati in qualche ditta a lavorare gratuitamente dovrai pur far passare questo messaggio con un contorno di ottimismo, di positività.
E quale miglior modo di farlo passare, seppur tra malumori crescenti, se non indicare nell’ozio estivo un tempo sprecato, un modo di allontanarsi dagli obblighi verso la società?
Si fa tutto in nome del “bene comune” e di quello dei giovani cittadini di questa amata Repubblica.
Una proposta di questo genere fa il paio con il Jobs act che ha distrutto i residui diritti e le rimanenti tutele dei lavoratori salariati.
La scuola pubblica è già stata irregimentata nei percorsi di un adeguamento sempre più rigido alle disposizioni dell’economia di mercato e ora, non contenti, i ministri del governo Renzi vogliono gestire anche il “tempo libero” che rimane a disposizione degli studenti per le loro meritate ferie.
Quando sono poco meritate esiste sempre e comunque la riparazione delle lacune attraverso lo studio anche estivo… Ma tant’è tutto questo non è sufficiente per un governo che vuole mettere ogni settore dello Stato al servizio dei poteri economici, per soddisfare al meglio e a costo zero le esigenze di una produzione in scarsa competizione con i paesi trainanti l’economia continentale.
L’affermazione di Poletti mi ha riporta alla mente una serie di critiche e di pensieri su come sia sbagliato il sistema dell’istruzione in tutte le sue fasi e componenti.
Le scuole sono per lo più delle mediocri fabbriche di nozionismi e, nonostante il grande impegno di molti insegnanti e lo sforzo di molti studenti, la conoscenza vera resta sulle nuvole di Aristofane e non tra noi… Invece di recludere i giovani per cinque, sei ore al giorno e per nove mesi circa, bisognerebbe consentirgli di studiare pochi mesi all’anno e il resto dedicarli ad altre attività culturali e sociali.
Invece c’è l’ “anno scolastico” come c’è il “campionato di calcio” annuale. L’intelligenza si misura in voti invece che in giudizi più articolati…
Ma che cos’è la scuola se non un luogo di apprendimento libero? Almeno questo dovrebbe essere. Invece è stata ridotta ad una compravendita di testi forniti dalle case editrici in concorrenza tra loro e con insegnanti che, su proposta dei rappresentanti degli editori, adottavano questo o quel libro… Un po’ come il medico che consiglia questo o quel medicinale a seconda del favore che ottiene dalla ditta farmaceutica che gli fa visita tra un paziente e l’altro.
E il sapere? Cosa è il sapere? E’ forse conoscenza libera o indotta?
Chi possiede la virtù del dubbio associata alla disposizione alla curiosità riesce in qualche modo a salvarsi dal maltrattamento merceologico della conoscenza: si apre strade personali di approfondimento, sceglie testi e letture che nessuno gli avrebbe fatto leggere.
Un po’ come l’appassionato di cinematografia che riesce a sfuggire al circuito dei film commerciali e si rifugia in qualche saletta d’essai e riesce a vedere quei noiosi film d’autore – come è capitato spesso a me – magari di un regista iraniano che fa girare per due ore un uomo in camionetta sulle colline desertiche di Teheran per cercare una persona che gli dia quattro badilate di terra addosso la mattina dopo, sul suo corpo ormai irrigidito dalla morte.
Film che ti fanno passare per qualche attimo la voglia di vivere ma che ti fanno scavalcare il formalismo comune, l’abitudine e che, quindi, ti scuoto benevolmente.
Così anche un libro di letteratura o di scienza che nessuno ti propone diventa l’elemento chiave per uscire dalla benevolenza dei tanti Poletti e Renzi che vogliono degli studenti emancipati solo in nome dei bisogni di un lavoro non pagato, della trasformazione ipocrita di uno studente o di una studentessa in un lavoratore figurante di una scena dove recita a soggetto, ma dove è invece oggetto di un meccanismo produtto più complesso.
Bisogna sfuggire a questa illogicità mostrata (ma non dimostrata) come facilitazione dell’inclusione dello studente nel mondo del lavoro. E non tanto in nome del minor numero di giorni di vacanze proposti, che già sono di per sé una provocazione inaccettabile dopo quasi un anno di obbligo a studiare e di obbligo a studiare con finalizzazioni che escludono a priori la vera natura della conoscenza e della formazione dell’individuo; ma bisogna sfuggire a questa illogicità con lo spirito vero di una rivolta in nome della voglia di autodeterminazione di noi stessi, di ripresa in mano delle proprie vite.
E questo va fatto anche in nome di una consapevole difficoltà nel battersi contro logiche di potere che vorrebbero imporre alla scuola e al suo mondo decadente (culturalmente e strutturalmente…) un altro tassello di dimostrazione della assoluta subordinazione del governo ai dettami economici dei poteri dominanti, alle logiche di servilismo verso le grandi concentrazioni di braccia (non di menti) per imprese che sono tutt’altro che luoghi di accrescimento della forma mentis delle giovani generazioni.
Insomma, in parole semplici e ricche (le parole semplici sono sempre fonte di una ricchezza culturale!): nessuno studente deve sottrarre tempo al suo studio e alle sue vacanze per andare ad ingrossare i profitti di chissà quale impresa, di chissà quale ditta.
L’impresa vera è ridare alla scuola e al sapere la dignità che avevano molti secoli fa… anzi millenni… quando si insegnava camminando e camminando si domandava all’insegnante…
Ma per farlo occorre rovesciare le logiche del potere nelle nostre menti prima che nella realtà. Solo così la realtà potrà cambiare e Poletti, Renzi e compagnia brutta non sembreranno più i santi protettori del futuro dei giovani ma i poveri servitori di questo o quel padrone di turno.
MARCO SFERINI
24 marzo 2015
foto tratta da Pixabay