Per il Signor Maroni, assecondando una recente moda postmoderna, “destra, estrema destra e sinistra”sono categorie del passato”. Molte persone, senza analizzare la concretezza dei rapporti economici e sociali, cadono in questa gigantesca trappola poiché, “dimenticando” la natura di classe delle diseguaglianze, connesse al rapporto che ciascun essere umano ha coi mezzi di produzione, ne naturalizzano l’esistenza e svincolano la politica da tali rapporti reali di subordinazione economica storicamente determinabili In parole povere, così facendo, separano la politica dal contesto storico e ne fanno una sorta di iperuranio di amministratori che si muovono a “movimento mistero”, come i giocattoli di qualche anno fa.
Orbene, analizziamo la questione calandola, invece, nella realtà. La politica moderna nasce con la Rivoluzione francese, quando, per la prima volta nella storia, le classi dominanti sono costrette a diventare “pars” poiché l’ascesa della borghesia e dei ceti artigianali aveva scalzato il loro potere economico assoluto ed assolutista, il quale nei secoli precedenti aveva creato quello che è stato chiamato lo Stato organicista, ossia un sistema in cui, non esistendo alternativa di classe, il corpo sociale era (come nell’antico apologo di Menenio Agrippa) un unico Organon. Trasformatesi da tutto in parte ( da cui il termine “partito”), le aristocrazie deprivate del potere totalitario un tempo detenuto, reagiscono alle spinte rivoluzionarie: nascono i “reazionari”, ossia l’estrema destra che, nel nome del vecchio Stato organicista, identifica nella triade Dio-Patria-Famiglia il replicarsi dei meccanismi totalitari sui quali era fondato in passato il loro potere; nasce così la pars destra, quella che, proprio nel nome di tale pensiero, concorre ora con altre partes al fine di garantirsi una vittoria politico-ideologica. In questo senso, la destra è naturalmente antipolitica poiché nasce storicamente “tirata per la giacca” e contro la politica intesa come agone trasformativo della società: fosse per loro, la politica non dovrebbe esistere.
All’opposto, dopo quell’Ottantanove nasce la sinistra, ossia la parte che identifica nel movimento di abolizione dello stato di cose presenti in direzione di un allargamento dei diritti civili e sociali il motore della società. La sinistra di fatto inventa la politica moderna in quanto figlia più avanzata di quel movimento rivoluzionario che, coalizzando la borghesia con i ceti popolari non ancora divenuti proletariato industriale, aveva scalzato il potere aristocratico. Destra e sinistra, dunque, sono fondate su due opposte visioni della società e su due spinte di classe altrettanto opposte e polarizzate: da una parte, i reazionari, dall’altra i “progressivi”, dove si intende con tale accezione la larghissima platea di coloro i quali – riformisti o rivoluzionari- puntano al già citato allargamento dei diritti civili e sociali.
Entro tale contesto, il rapporto con la proprietà o meno dei mezzi di produzione, ossia il rapporto col motore economico e culturale della società, è fondamentale. Dire dunque che oggi non esistono più la destra e la sinistra equivale a diffondere un enorme abbaglio che, cancellando tale “motore economico e culturale” fondato sui rapporti di proprietà, annulla di fatto la politica, finendo per un paradosso apparente a cancellarne la ragion d’essere, ossia a portare avanti la battaglia più assolutista della più assolutista fra le destre: la cancellazione dell’idea di cittadinanza intesa come partecipazione consapevole alla vita socialmente organizzata.
ENNIO CIRNIGLIARO
redazionale
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