Matteo Renzi deve essere enfatico, deve imbellettare la sua controriforma del lavoro con parole come “evento storico”, perché questa volta la clava che si abbatte sui diritti sociali è veramente pesante e non lascia scampo ad alcuna interpretazione di sorta: le norme del Jobs act colpiscono l’articolo 18 e lo cancellano definitivamente per tutti i nuovi assunti, liberalizzano praticamente i licenziamenti sia singoli che collettivi prevedendo un “risarcimento” in base al grado di anzianità che si ha in azienda. In più si introducono dei “buoni lavoro”, dei vaucher, per cui si lavorerà al di fuori delle basi contrattuali con queste forme di estensione all’ennesima potenza di una precarietà vergognosa spacciata per nuove opportunità di impiego.
Matteo Renzi fa la felicità immediata dei confindustriali e scontenta praticamente tutto l’arco sindacale. Del resto questo è il prodotto di una politica liberista che individua nel lavoratore una variabile dipendentissima dallo stato profittuale delle imprese e dei padroni: a tanto guadagno, tanta precarietà di ritorno.
Non esiste nel governo una proposta equipollente tra interessi padronali e interessi dei lavoratori (che già sarebbe una contraddizione in termini ma che almeno fingerebbe di rendere a Cesare quel che è di Cesare e ai lavoratori quel pochissimo che è dei lavoratori…), ma soltanto la indiscriminata volontà di asservire la parte producente alle esigenze esclusive della parte dirigente.
Licenziare per i padroni sarà da oggi molto più semplice. E semplicità per Confindustria si traduce in “modernità” del mondo del lavoro. L’articolo 18, questo spauracchio giusto e sacrosanto che era ancora un impedimento all’arbitrarietà del licenziamento senza giusta causa, oggi non esiste più e pertanto ogni industriale potrà liberarsi dei propri dipendenti con un semplice indennizzo e, soprattutto, senza un motivo valido, con qualunque scusa possibile.
La decadenza anche morale di questi provvedimenti è tale che ci riporta veramente a mezzo secolo indietro sul piano della costruzione e del mantenimento dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
Nemmeno Silvio Berlusconi e il peggiore centrodestra italiano erano arrivati fino a questo punto. Spesso sono entrati in crisi proprio davanti all’articolo 18. Ma Mario Monti ed Elsa Fornero prima e oggi Matteo Renzi sono riusciti a disarticolare un complesso architrave di diritti costruiti con decenni di lotte operaie, trionfando su queste e imponendo la volontà padronale sulla politica, rendendola nuovamente uno strumento di azione antisociale, antidemocratica e immorale.
Politica, lavoro e morale sono comunque legati da un cammino comune e, oggi, questo cammino è la via più impervia e dura affrontata da chi lavora (e anche da chi non lavora…) negli ultimi lustri.
Serve un nuovo Statuto dei Lavoratori, serve una controffensiva operaia e di tutto il mondo del lavoro e della precarietà che rovesci a cento ottanta gradi il Jobs act, mettendo in discussione la nuova “morale” renziana che contempla solo doveri verso l’impresa ed espunge i diritti più elementari.
Per costruire un nuovo Statuto dei Lavoratori serve un sindacato forte, unito. E serve una sinistra comunista capace di unirsi in queste lotte tanto al sindacato quanto ai lavoratori, ai precari, ai disoccupati.
Ricostruire questo tessuto sociale, sindacale e politico è ricostruire una vera politica costituzionale e repubblicana, una nuova lotta di classe che esiste nei fatti e la dimostrazione della sua esistenza, qualora non se fosse accorta anima viva, è proprio nei decreti attuativi del Jobs act. Il Jobs act è il più chiaro manifesto della lotta di classe che oggi si possa leggere. E’ il contrario del suo titolo. Dovrebbe chiamarsi “Legge contro il lavoro”, non “Atto dei lavori”. Ma le parole ormai sono così relative e utilizzate per mistificare che ogni loro uso appare vuoto, inconsistente.
Leggiamolo, comunque, il Jobs act… Facciamo il contrario di quello che prevede e la lotta di classe contro Confindustria e governo sarà già a buon punto: sarà già consapevole di essere e di esserci.
MARCO SFERINI
21 febbraio 2015
foto tratta da Pixabay