Il piede di un poliziotto, di un tutore dell’ordine pubblico sulla schiena, sullo stomaco di una ragazza. Un ragazzo che, prontamente, tenta di proteggerla e le fa scudo col suo corpo. E’ un attimo nella manifestazione romana sulla casa, sul diritto all’abitazione e su molti altri diritti.
Diritti calpestati, proprio come quella ragazza che diventa il simbolo anche della prevaricazione del potere nei confronti del dissenso, della libera e (dovrebbe essere) normale manifestazione di un disagio sociale, collettivo, corale, ma che diventa ancora di più il fenomeno, la totale evidenza della voglia di repressione che circola e si annida ora qui, ora là tra chi deve gestire il tanto celebre “ordine”. Ordine pubblico e ordine costituito. C’è differenza?
Non ce n’è più quando l’ordine costituito, che abbiamo imparato a conoscere come definizione dai versi poetico-lirici di “Bocca di Rosa” di Fabrizio De Andrè, diventa ordine pre-costituito e scavalca il diritto, scavalca la Costituzione e quindi assume non le fattezze di un patto sociale e politico che si concretizza anche e soprattutto nelle piazze, ma quando sta un gradino sopra ciò che è altro da lui, altro dal potere medesimo.
E’ dai tempi del G8 di Genova che ci ripetiamo, forse autoconsolatoriamente, forse invece con coscienza politica e civile, che se in questo Paese il sistema delle garanzie ha retto è anche e soprattutto grazie alla Carta Costituzionale.
Ed è sacrosantamente vero che è stata per oltre sessant’anni una diga ad ogni tentativo di eversione più o meno manifestatasi come tale: dai tempi del golpe Borghese a quello tentato e mai messo in essere del generale De Lorenzo, passando per tutte le stragi di Stato che hanno insanguinato l’Italia.
Ogni anno, ad agosto, ci ricordiamo della strage di Bologna, ogni anno, più recentemente, a luglio andiamo in piazza Alimonda per incontrare Carlo, là dove lo Stato lo ha ucciso.
Tutto questo serve a dire e a dirci che la questione dei diritti civili e sociali è legata e che quando, in Italia sono diventati deboli i sindacati e i lavoratori è precipitata anche la tenuta della democrazia: forma e sostanza si intrecciano. Difficile poter distinguere un piena forma senza una piena sostanza.
Formalmente viviamo in una democrazia parlamentare. Due camere legislative, un esecutivo che deve avere la fiducia del Parlamento, una magistratura indipendente e una Presindenza della Repubblica a garanzia di tutto questo.
Ma sostanzialmente sappiamo, da tempo, che spesso e volentieri resta di tutto questo solo una mera forma e la sostanza viene sostituita con altra sostanza, con un gioco in cui ognuno bara per mantenere un equilibrio che garantisca, nell’apparenza del rispetto delle regole, politiche accondiscendenti quei signori che vengono ben rappresentati da coloro – ad esempio – che sono stati nominati or ora dal governo nelle nuove aziende a partecipazione statale.
Moretti non andava più per la maggiore alle Ferrovie Italiane? Non lo si pensiona, lo si trasferisce ad altro importantissimo ente.
Non c’è vergogna in tutto questo, perché Matteo Renzi non perde occasione per dire all’Italia intera che una nuova era è cominciata e che il Partito democratico ha la sua funzione innovatrice e rinnovatrice.
Invece il Partito democratico rappresenta oggi l’asse portate di una conservazione delle leve politiche in mano ai referenti dei poteri economici sia italici che transalpini.
Giorgio Napolitano è oltre la carica che ricopre: gli serve per dare l’imprimatur ad operazioni politiche spregiudicate in campo economico, che impoveriscono sempre di più chi già non riesce a sbarcare il lunario e aprono praterie di profitti a chi da Bruxelles necessita dell’appoggio dei singoli stati nazionali per penetrare dentro le economie di questo o quel paese.
La bugia, la menzogna, l’inganno, l’ipocrisia sono la cifra che ha dato costituzione a questa nuova “sostanza” ammantata dall’apparente rispetto e difesa dei diritti costituzionali.
E allora ecco che hanno largo spazio i tre populismi che dominano la scena di una politica italiana svuotata di quelle tanto aberranti “ideologie” che, invece, sapevano mantenere almeno distinti e distinguibili i campi delle lotte, gli schieramenti e i loro riferimenti sociali: Berlusconi, Renzi e Grillo. Ciascuno con differenti motivazioni punta a riconquistare, mantenere o conquistare la prima posizione a Palazzo Chigi. Nessuno di loro, però, è autosufficiente: Renzi ha bisogno di Berlusconi per far marciare le controriforme che vorrebbero abolire il Senato nel nome del sentimento ormai ampiamente diffuso che i costi della politica sono una sciagura per il Paese e che da questi dipendono le sorti dell’economia italiana; Berlusconi ha bisogno di Renzi per dimostrare che nel suo schieramento c’è moderazione e che quindi può essere lui e non Alfano il vero interlocutore dell’attuale governo e, infine, Grillo, per far marciare la sua finta rivoluzione popolare ha bisogno di entrambi.
Senza Renzi e senza Berlusconi, senza l’anomalia tutta italiana del Partito democratico che unisce culture e prospettive profondamente diverse (almeno così era ancora qualche anno fa…), il movimento di Grillo si sgonfierebbe come un palloncino bucato anche se sorretto dalle invettive del capocomico dei pentastellati e dal sostegno “morale” di Casaleggio.
In tutto questo complesso scenario sociale, economico e politico, il vuoto della sinistra italiana si sente tutto. La Lista Tsipras, “L’Altra Europa con Tsipras” per essere precisi nella sua citazione, rappresenta il primo tassello di un dialogo a sinistra appunto, ma non è ancora – e del resto non potrebbe esserlo, visto lo strabismo politico di Sel che ha scelto il campo dell’anticapitalismo europeo e non del socialismo di Shultz solo perché spinta da una larga parte della sua base… – nemmeno l’embrione di una costante unitaria che rimetta in gioco il progressismo smarrito e in diaspora dell’Italia del modernissimo 2014.
MARCO SFERINI
redazionale