Quasi mille. Anzi più di mille, visto che i conteggi giornalieri sono approssimati per difetto, con il cumularsi delle degenze di lungo termine. Questa volta chi sui social ripete il concetto secondo cui «…davanti a 993 morti osate litigare se sia opportuno o meno riaprire le piste da sci o i ristoranti per il 25 e il 26 dicembre…» non fa della insopportabile retorica, ma afferma un principio sacrosanto, di letterale buonsenso.
Non si tratta di mettere in contrapposizione salute ed economia; ma dovrebbe oltrepassare ogni ragionevole dubbio il principio per cui senza un ristabilimento generale dello stato di salute dell’intera popolazione, quindi di un ritorno a quella insufficiente, eppure tanto rimpianta, anormalità quotidiana delle ingiustizie vecchio stile, non possa riaversi anche l’economia del Paese.
Dovrebbe, dopo tanti mesi, essersi inoculata nelle menti delle persone la catena di comando delle necessità, delle priorità imprescindibili. Eppure, nonostante questo sia il Paese dell’evasione fiscale tra le più alte d’Europa e proprio i settori del commercio e delle libere professioni siano quelli che hanno fatto di un reato un metodo di impresa, di accrescimento dei profitti, le lagnanze più isteriche per le chiusure arrivano proprio da ristoratori, esercenti, grandi catene commerciali e corporazioni come quelle balneari o discotecare.
993 morti in un solo giorno. Praticamente mille. Cosa occorre perché si limitino le giaculatorie e si ristabilisca un ordine di priorità nell’acquisizione della consapevolezza, elementare, evidente, lapalissiana, scontata ormai, che deriva dal ritmo a fisarmonica dell’espandersi e del contrarsi della pandemia?
Non biasimo i commercianti per chissà quale presunta e presuntuosa invidia o per un’altra motivazione, se non per quella di una mancata coscienza che dovrebbe rimettersi a sé stessa e guardare ai tanti privilegi avuti nel tempo, oltre ai “ristori” che il governo ha messo in fila per attutire l’impatto devastante del Covid-19 sull’economia di prossimità nelle nostre vite, delle nostre città: quella che appare, ma davvero soltanto appare, scissa da una globalizzazione che non risparmia niente e nessuno.
I lavoratori salariati non possono affidarsi a risparmi bancari, a conti correnti dove poter attingere in proprio soccorso per evitare lo sfaldamento familiare, la discesa in quel girone infernale di povertà da cui poi difficilmente si riesce a risalire per veder le stelle. Ma la compostezza dei lavoratori è, seppure ispirata da una mancanza di criticità sociale alta e di organizzazione delle lotte, d’esempio. Chi ha meno continua a pagare di più. Chi ha di più continua a pagare meno.
La pandemia ha fatto scoprire al ceto medio il rischio di impresa. Sarebbe una lezione anche morale, oltre che economica. Ma, purtroppo, quando si tratta di rapporti d’affari e di interessi di classe, la morale viene gettata nell’angolo più remoto e torna prepotente la dominazione della concorrenza, regolatrice dei rapporti anche umani (e disumani). Tutto sarà, dunque, tornato pelosamente “normale“.
993 morti sono già nel passato…
(m.s.)
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