Una spedizione squadrista di 700 chilometri con mazze e coltelli annunciata su Facebook. Lunedì notte un centinaio di padroncini «con immagini di Mussolini dappertutto» sono partiti da Salerno – raccogliendo colleghi dalle regioni limitrofe – per raggiungere il magazzino Sda di Carpiano (paese a sud est di Milano) dove da otto giorni un picchetto del sindacato Si Cobas blocca la produzione per chiedere diritti e tutele in uno – strano – passaggio di appalti gestito dalla società che fa consegne per Poste Italiane. Al grido «Vogliamo lavorare», i padroncini con divisa Sda d’ordinanza – che si definiscono «gli eroi di Salerno» – hanno aggredito la settantina di lavoratori presenti al presidio davanti ai cancelli del magazzino. Uno di loro – Pape Ndiae – è stato accoltellato ad una mano e portato in ospedale. Ora sta bene. Un altro è stato investito da un’auto ed ha lesioni ad un piede. L’assalto è durato a lungo ma la resistenza del picchetto e l’arrivo delle forze dell’ordine ha fatto desistere i padroncini, apostrofati come «crumiri» dai manifestanti.
«Noi abbiamo sottovalutato l’annuncio su Facebook – racconta Gino Orsini, coordinatore milanese del Si Cobas – ma non potevamo immaginare che arrivassero in così tanti: evidentemente sono stati forzati anche dall’azienda», denuncia. «Siamo comunque riusciti a resistere anche se la Digos è rimasta a guardare fin dall’inizio».
Ieri poteva arrivare una svolta positiva. «In mattinata a Milano abbiamo incontrato i rappresentanti della Usca e avevamo trovato l’accordo: ci riconoscevano le tutele del contratto Fedit (quello dei grandi corrieri, ndr) e che non avrebbero applicato il Jobs act. Attendevano solo il via libera della Sda: ma per loro, e quindi per le Poste, l’applicazione del Jobs act è decisiva e tutto è saltato».
La protesta quindi va avanti. E Orsini ci tiene a sottolineare che «non si tratta di lotta fra poveri, come anche molta stampa scrive: è una battaglia per la difesa dei diritti dei lavoratori, di tutti i lavoratori. Siamo attaccati da tutti i sindacati ma non è la prima volta. Noi chiediamo a tutti i lavoratori degli altri magazzini Sda di venire ad aiutarci per dimostrare quanto siamo determinati e uniti in questa battaglia che respingerà ogni tentativo della Sda di cancellare le conquiste strappate con la lotta».
La vicenda di Carpiano è lunga e complicata: è cominciata ad inizio settembre con uno sciopero dello Sol Cobas, sindacato nato dai «fuorisciti» dal Si Cobas nel 2016. Protestavano per il licenziamento di 43 lavoratori con contratto a termine da parte della Cpl (Cooperativa progresso logistico) che gestisce molti centri Sda. La protesta è rientrata quando la nuova cooperativa – la Ucsa – ha deciso di riassumerli almeno fino alla scadenza dell’appalto di fine dicembre. Ma l’accordo non è stato sottoscritto dal Si Cobas perché non prevedeva le garanzie del contratto Fedit e – soprattutto – non metteva al riparo dai licenziamenti previsti dal Jobs act.
Con il passare dei giorni le pressioni dell’azienda e dei sindacati confederali per sbloccare il picchetto e far ripartire la produzione – si parla di centomila pacchi bloccati – sono state sempre più forti. A nessuno però sarebbe mai venuto in mente quello che stava per accadere lunedì sera. E che – in chiave sindacale – ha rafforzato la posizione dello Si Cobas.
L’accusa – ormai comune a tutte le situazioni di picchetti – che viene fatta ai Cobas è sempre la stessa: hanno rapporti clientelari con le cooperative a cui strappano accordi che i confederali (Cgil, Cisl e Uil comunque debolissimi nella logistica) non riescono a negoziare.
Pronta la risposta della Sol Cobas: «Ci accusano di avere rapporti con la Ucsa? Fino a qualche giorno fa eravamo in tribunale per una causa contro di loro», afferma Edoardo Pietrantoni, che fino ad un anno fa era nello Si Cobas.
Le accuse incrociate tra i due sindacati vanno comunque avanti – per lo Si Cobas alcuni «cugini» facevano parte della spedizione – ma Pietrantoni non ha dubbi a definire «squadrista» l’assalto di lunedì sera.
MASSIMO FRANCHI
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