Davvero vorrei che qualcuno sapesse convincermi del fatto che sia giusto vivere in una società dove 66 persone su 7.ooo.ooo.ooo (scritto in cifre fa più effetto!) hanno il possesso di metà della ricchezza di tutta la terra.
Davvero vorrei che si potesse dire: “È giusto così perché…”. Ma nessuno potrà mai affermare che questa è uguaglianza, tanto meno è una tendenza ad una forma ancora inesplorata e oscura di uguaglianza che deve venire chissà mai quando…
Le ragioni dell’essere ancora comunisti stanno tutte in quei due numeri e niente altro davvero. Pochissimi hanno tantissimo e moltissimi hanno pochissimo. Persino Aristotele diventerebbe comunista se messo davanti a questa illogicità, a questa antitetica inumana.
Parrucconi cattedratici, filosofi del moderno liberalismo e della sua evoluzione peggiorista che chiamiamo forse impropriamente “liberismo”, ci potrebbero anche provare a convincere che in fondo la distribuzione della ricchezza è stratificata e che una larga fetta dei sette miliardi di esseri umani che abitano il pianeta gode di piccoli privilegi di cui altri non godono affatto.
Certamente potrebbero sciorinare elenchi di numeri per dimostrarci che i “veramente poveri” (ammesso che si possa essere “falsamente poveri” di contro), i nullatenenti assoluti sono pochissimi milioni di uomini e donne… Che, in fondo, miliardi di persone soffrono ma con la felicità di possedere un ultimo modello di Suv a rate, una casa acquistata con un mutuo trentennale, una istruzione conquistata in mezzo alle privatizzazioni del sapere e alla demoralizzazione di una cultura che, infatti, è sempre meno accessibile e godibile da vaste masse.
Professori e teorici apologeti del liberalismo potrebbero anche fare una arringa di questo genere per difendere il capitalismo ma non riuscirebbero mai a convincere un giudice imparziale, un giudice che ha come metro di valutazione la giustizia sociale, l’uguaglianza e il lavoro come concezione di sviluppo della medesima e non come mezzo di accumulazione del profitto.
Pero il gioco lo fanno lor signori, quelli che alla fine rispondono a quei 66 individui che dominano il pianeta con la loro smodata ricchezza; pertanto il trucco c’è sempre.
Chi si dovrebbe ribellare non ne ha più le forze, piegato dalle seduzioni del mercato e da una vita spesa a lottare e a vedere davanti a sé solamente sconfitte.
Eppure abbiamo delle possibilità enormi di recupero di una consapevolezza di massa circa l’ingiustizia di una società in cui i proletari moderni non possono rassegnarsi a vivere. Possono solo rassegnarsi a sopravvivere, sperando non di non essere sfruttati, ma di essere sfruttati meno del giorno precedente.
Le possibilità di recupero della coscienza critica sociale sono vaste e sono supportate dalla velocità di acquisizione delle informazioni che oggi tutte e tutti abbiamo sotto gli occhi: basterebbe avere una visione distaccata rispetto alle informazioni stesse, un punto di vista critico che nasca dal dubbio e che metta in discussione ciò che non viene messo mai in discussione e che viene accettato come “naturale”, consueto, irriformabile, intangibile e quindi non rovesciabile nel suo contrario.
Mi rendo conto che ho fatto un discorso molto vago e per niente suffragato da esempi recenti. Ma non ve sono. E se a sinistra in questi anni si fosse potuto recuperare terreno in questo senso, le uniche possibilità sono andate perdute quando molti hanno deciso di venire a patti con il sistema delle alleanze per provare ad essere maggiormente incisivi laddove non potevano esserlo.
Un esercizio di patteggiamenti che ha logorato la diversità della sinistra comunista, dei comunisti stessi come persone e ne ha fatto, in molti casi, dei replicanti di parole che si potevano lasciar tranquillamente dire ai riformisti socialdemocratici unitisi in partito con l’ala più progressista del cattolicesimo militante.
Cosi sono nati esperimenti di movimenti populisti che hanno piantato nei crani vuoti delle persone la bandiera di una ribellione fondata sulla mera esaltazione di una onesta della vita politica veramente troppo insozzata da scandali e da torsioni personalistiche.
I poveri, le classi più disagiate hanno creduto che migliorare la loro vita volesse significare soltanto cambiare questo schema privatistico della politica e non attaccare invece anche e soprattutto i detentori del potere economico, quelli che ci hanno abituato a considerare “datori di lavoro” e che, invece, sono i padroni delle nostre vite, delle nostre ricchezze mai avute e del nostro tempo. Sono padroni e non danno alcun lavoro, ma se lo prendono attraverso l’intelligenza e la fatica altrui. Speculano su tutto questo e vengono mostrati da gente come Renzi come i “creatori della ricchezza nazionale”.
Sono padroni e creano ricchezza solo personale con il lavoro altrui e non producono alcuna ricchezza per la nazione. Quando falliscono e devono dilapidare le ricchezze accumulate per pagare i debiti, chiedono spesso allo Stato di farlo per loro, perché rappresentano appunto quel totem definito “ricchezza nazionale”.
Sessantasei persone al mondo hanno metà della ricchezza mondiale! Che ricchezza mai producono per i restanti 6.999.999.934 abitanti della Terra? Producono miseria, altrimenti non avrebbero due quarti dei tutto quello che si può creare come sovraprodotto sociale.
Ancora una volta, sì anche romanticamente ma con i piedi ben piantati per terra, l’alternativa vera a tutto questo si chiama soltanto comunismo. Non c’è altro nome, non esiste altra speranza. Ma la certezza che: o si capovolge questo sistema di 180°, quindi lo si rovescia nettamente senza se e senza ma, o molto presto qui 66 diventeranno 44 e poi 22 e alla fine sarà più che insopportabile la concentrazione della ricchezza nelle mani di questi profittatori.
Sempre che alla fine di questa storia si arrivi con una umanità ancora presente sul pianeta…
MARCO SFERINI
20 gennaio 2016
foto tratta da Pixabay