L’esperimento si è concluso. Il progetto di alleanza stabile col Partito democratico, di fatto l’unico appiglio al quale un Movimento 5 Stelle in vorticosa trasformazione si stava rocambolescamente agganciando, si interrompe. Lo annuncia Luigi Di Maio che torna a parlare di una «terza via al di là dei due poli di destra e sinistra». I risultati delle elezioni regionali umbre precipitano sui grillini. In mancanza di un luogo formalizzato di dibattito e di una chiara distinzione tra linee politiche, finiscono per incrementare il caos interno. Per facilità il cronista potrebbe distinguere tra ribelli e governisti o magari tra ortodossi e innovatori, ma la verità è che nel flusso indistinto di dichiarazioni, allusioni e attacchi personali che i 5 Stelle si scambiano a mezzo stampa, via social o nell’ambiente relativamente ristretto delle chat interne, per i protagonisti stessi di questa vicenda è davvero difficile distinguere e trovare dei fili comuni.
Uno dei primi a parlare è Gianluigi Paragone, il senatore e giornalista ex leghista che da subito aveva messo in chiaro di non condividere l’alleanza col Pd, al governo e tantomeno nelle «sperimentazioni» elettorali locali. «La sconfitta era prevedibile – dice Paragone – Ma ancora più incredibile era pensare che quel Movimento 5 Stelle che ha svelato il sistema umbro è stato costretto ad allearsi con il centrosinistra. Infatti l’abbiamo pagata, perché accade quando non hai coerenza». La sua posizione è assimilabile a quella di Barbara Lezzi, altra esponente di peso del M5S contraria fin da subito al cambio di maggioranza. Nei giorni scorsi Lezzi aveva attaccato duramente Vincenzo Spadafora, ministro dei giovani e dello sport nel Conte bis considerato l’uomo della mediazione tra Luigi Di Maio e Dario Franceschini. Adesso l’ex ministra del sud chiede «di convocare un’assemblea di tutto il Movimento 5 Stelle, non solo degli eletti». Lo stesso fa, da sponde opposte e ribadendo che «il centrosinistra è irreversibile», il senatore Giorgio Trizzino quando chiede un «congresso fondativo» del M5S. Sia Lezzi che Trizzino auspicano la nascita di organismi che non solo non sono mai esistiti nel M5S e non sono previsti da alcuno statuto, ma che in passato avevano causato espulsioni per via del fatto, si diceva, che il M5S non fosse «un partito». Dunque, l’unica assemblea nazionale è quella che si esprime nelle procedure farraginose e poco orizzontali della Piattaforma Rousseau.
Gli oltre trecento deputati e senatori sono l’unica forza che contenga un criterio minimo di rappresentatività e di territorialità. Con la crisi d’agosto hanno provato a ritagliarsi il loro spazio. Adesso si trovano in un momento di impasse dovuto al riaccentramento di ogni decisione sul governo da parte di Luigi Di Maio e dalla paralisi nell’elezione dei nuovi capigruppo. Non è un mistero che la gran parte dei parlamentari spinga per la sopravvivenza di questa maggioranza e per il proseguimento di questa legislatura, con toni che spesso non risultano amichevoli nei confronti del «capo politico» Di Maio. Il quale sta cercando di riassestare i nuovi equilibri che si dovranno comporre dopo il terremoto elettorale dell’Umbria per definire meglio la sua linea, che in estrema sintesi cerca di assecondare la voglia di governo della maggior parte degli eletti ma al tempo stesso di sfilarsi dal progetto strategico di alleanza col Pd che pareva avere affascinato Beppe Grillo e nel quale si trovavano a loro agio i parlamentari vicini a Roberto Fico. Ma per dare l’idea del clima che circola bisogna dare conto delle parole del senatore Michele Giarrusso contro altri esponenti del M5S di governo. Eccole: «Ogni volta che un attivista M5S vede uno Spadafora, un Buffagni o una Castelli viene colto da conati di vomito e fugge via disgustato».
Di Maio sembra archiviare definitivamente ogni ipotesi di alleanza in Calabria ed Emilia Romagna (oggi incontrerà i parlamentari delle due regioni) poi si lascia sfuggire la nostalgia del burrascoso rapporto con la Lega: «Se avessimo avuto un contratto di governo – spiega in serata – ciò che non c’era scritto non si sarebbe potuto neanche ipotizzare e quindi alcune incomprensioni magari non si sarebbero nemmeno verificate». Beppe Grillo si fa scappare un tweet in cui minimizza il risultato («Pensavo peggio», scrive), poi ci ripensa lo cancella e diffonde una canzone dei Soundgarden: «Black hole sun». E chissà a cosa si riferisce, il sedicente «Elevato», quando parla di buchi neri. Se al successo delle destre oppure al vortice in cui rischia di finire il Movimento 5 Stelle.
GIULIANO SANTORO
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