Ci sono più di cinque milioni di persone in Italia che non pranzano e cenano tutti i giorni. A volte riescono a soddisfare con un panino la fame; altre volte riescono a mangiare una cena calda grazie alla Caritas o ad altre associazioni di volontariato che si preoccupano di aiutare gran parte di coloro che scivolano lentamente nel regime di povertà assoluta.
Quella descritta sopra si chiama, nello specifico, “povertà alimentare”. Nel corso di una decina di anni una cifra che si aggirava sui tre milioni è salita a cinque milioni.
Siamo circa sessanta milioni di persone in Italia, con una disoccupazione crescente in assoluto, a volte meno crescente in base ai dati che comprendono anche i lavori di una settimana o di un giorno solo pagati in voucher…, con una crisi economica che ci viene descritta in fase di retrocessione, ed invece scopriamo che gli effetti del progressivo impoverimento del Paese hanno un corso molto più lungo, lento, quasi impercettibile, insonorizzato rispetto ai tanti rumori che si accumulano nelle nostre orecchie: grida contro i rom, i migranti, contro i centri sociali, contro le sinistre, contro i comunisti; oppure grida per la legge elettorale che tutto deve essere tranne quello che dovrebbe essere, ossia proporzionale e quindi dare almeno una parvenza di sovranità al popolo!
Ma la povertà la vediamo solo quando ce la mostrano come “colpa”, come responsabilità del disperato che fugge dal suo paese dove lascia la famiglia, la casa, la consueta visione dei suoi giorni, quindi lascia lì il suo orizzonte quotidiano, la sua vita.
E la lascia per venire qui e sentirsi dire che è lui la causa della povertà italiana. Magari qualcuno arriverà ad accusare i migranti, che sono il fenomeno evidentissimo di cosa vuol dire “avere fame”, di essere alimentatori della “povertà alimentare”.
Del resto, ero bambino quando, già più di trenta anni fa si parlava dei marocchini come di coloro che “ci rubano il lavoro”. Questa insopportabile ignoranza dei problemi sociali viene da lontano e si è alimentata (lei sì ha trovato nutrimento…) nel tempo con tanti piccoli e grandi fenomeni mondiali che si sono riversati inevitabilmente anche sull’Europa e sullo Stivale italico.
Le promesse salvifiche di un rinnovamento sociale attraverso le privatizzazioni di tanti settori strategici dell’economia italiana si sono vanificate sotto la pesante scure della concorrenza anche dei mercati, ma soprattutto degli interessi tra poli statali, addirittura tra poli continentali. Ed il risultato è stato l’accrescimento dei capitali su dinamiche produttive impostate sulla destrutturazione dei diritti sociali, di tutte quelle garanzie che il mondo del lavoro si era conquistato nel corso di un secolo di lotte operaie (e non solo).
Così, oggi, siamo qui a commentare l’ennesimo avanzamento del numero di poveri che aumentano non sulla base di un indice che segna quanti prodotti di seconda o terza necessità vengono sempre meno acquisiti, comperati dalla gente: ma, bensì, sulla base di bisogni assolutamente primari.
Il dramma sociale che stiamo vivendo diventerà sempre più acuto e le destre avranno gioco facile nel dilaniare la società tra poveri italiani e poveri stranieri e metterli continuamente in contrapposizione, gestendo una guerra di odio che sarà l’alimento principale di una politica squallida, priva di analisi e di contenuti, fatta di urla e di improperi.
Spetta alla sinistra comunista ricomporre i pezzi sociali di una frantumazione che è popolare, sindacale, politica. C’è praticamente un mondo da ricostruire intorno ad una serie di valori oggi considerati superflui e ininfluenti per le sorti progressive del genere umano e del contesto in cui si trova a sopravvivere.
Ma la sinistra non è un fenomeno evocabile in una seduta spiritica: sono donne e uomini che devono ritrovare spirito di sacrificio quotidiano, impegno, attività costante nel dedicarsi a tutto ciò. E per farlo occorre rimettere in campo una attività culturale che assolva ad compito ben preciso: eliminare l’analfabetismo di ritorno politico che ha investito molte e molti di noi, che ha allontanato le volontà dalle idee e le idee dalle volontà.
Del resto, come scriveva Marx, “non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere sociale, ma è la loro condizione sociale che ne determina la coscienza“…
MARCO SFERINI
10 maggio 2017
foto tratta da Pixabay