“Resistere, resistere, resistere“, aveva detto Francesco Saverio Borrelli in tempi in cui attorno alla magistratura la politica faceva il deserto e il cosiddetto “popolo” provava invece a trovare una speranza.
Della corruzione non se ne è mai “potuto più“. Eppure essa appartiene imprescindibilmente al carattere dell’essere umano che vive in un regime mercantilista, merceologico e dove il potere è essenzialmente sempre potere economico declinato in varie forme.
Forse sotto quel “Resistere, resistere, resistere” c’era non solo la volontà dichiarata di non cedere alle pressioni del potere politico di allora, ma di andare oltre.
Quasi fosse stato un messaggio che, pur partendo dai presupposti di difesa di una inchiesta che sfasciò il sistema del pentapartito (e non solo…) negli anni ’90, che diede il via alla cosiddetta “rivoluzione di Mani Pulite” e scoprì nella “Milano da bere” una vera e propria “Tangentopoli“, cercasse per il popolo e nel popolo un sostegno per proseguire oltre le aule di tribunale, diventando nuovamente “questione morale“, quindi civile e civica allo stesso tempo.
Così salutiamo il procuratore Borrelli. Pensando al suo “resistere“, ripetuto ben tre volte, e allargandone il senso ad una Italia che ha bisogno, effettivamente, di resistenza: con la erre minuscola e con quella maiuscola.
(m.s.)
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