È sul piatto il Rosatellum 2.0, il nuovo disegno di legge elettorale per Camera e Senato e per l’ennesima volta ci troviamo a discutere degli stessi problemi, 2/3 dei parlamentari nominati, pluricandidature, listini bloccati, escamotage e trucchetti disparati, che solo i più consumati esperti in materia elettorale sono in grado di stanare.
Sembrava potessero bastare i ripetuti appelli del Presidente Mattarella, che parla poco, e proprio per questo andrebbe preso molto seriamente quando lo fa. Si poteva ritenere che fossero sufficienti ben due pronunce della Corte costituzionale che, superando ostacoli di carattere processuale non indifferenti, aveva pronunciato severe censure di sistemi elettorali analogamente caratterizzati dall’intento di frodare l’elettore.
Avrebbe potuto forse dare qualche ulteriore indizio la sonora sconfitta del referendum del 4 dicembre scorso, con cui 19 milioni e mezzo di elettori hanno inteso respingere un progetto di riforma costituzionale, tanto poco chiaro nella sua formulazione e nel suo linguaggio, quanto era macroscopicamente palese la direzione nella quale spingeva le istituzioni. Nulla di tutto ciò è valso ad ottenere l’ascolto e la resipiscenza delle forze politiche che dal 2013 hanno sostenuto i governi che si sono susseguiti, nel mentre cresceva sempre più lo iato tra cittadini e politica.
Quasi qualsiasi sistema elettorale che riportasse ad avere un significato l’esercizio del diritto di voto, senza trucchi e senza inganni, sarebbe bastato.
Certo, in tanti avremmo preferito un sistema proporzionale, che rilanciasse il valore della rappresentanza politica. Ciò anche alla luce del mancato inveramento della “promessa del maggioritario” di produrre un efficiente bipolarismo, dopo tre legislature di Mattarellum che hanno lasciato sul campo le macerie di un sistema politico sempre più frammentato. Ma comunque sarebbe stato già qualcosa avere un sistema elettorale volto a garantire, anzi a ricreare, la defunta rappresentanza politica, riaffermando il principio per cui ci si candida non «per vincere», ma per rappresentare qualcuno, per contribuire a costruire in parlamento uno specchio della società, un luogo in cui si possa costruire un’idea di futuro per questo disastrato paese.
Un sistema elettorale non costruito su misura contro qualcuno, senza i consueti tranelli, e teso a recuperare i caratteri del voto previsti dall’art. 48 Cost.: libero, uguale e segreto (si perché ormai nessuna delle tre caratteristiche si può più ritenere pienamente garantita).
E invece anche stavolta non andrà così. Non so se sia un cieco istinto autodistruttivo, o un’arrogante protervia quella con cui si insiste nel voler trasformare il sistema di traduzione dei voti in seggi in un complicato escamotage per perpetuare il totale sganciamento della classe politica dalla società, per proseguire nella delegittimazione dell’istituzione parlamentare e dei partiti.
Chi insiste nel produrre sistemi elettorali in cui le segreterie di partito nominano larga parte dei parlamentari ha evidentemente perso totalmente il contatto con la realtà del paese, e solo per questo non teme la ormai dilagante rabbia verso la politica e le istituzioni.
Basterebbe salire su un autobus di qualunque città, o passare mezz’ora in una Asl o in una sala d’aspetto di uno dei tanti malandati ospedali italiani, per sentire la rabbia e il disagio che dilagano ovunque.
Non ci sono più argini che tengano questa ira. Si pensa di esorcizzarla identificandola sotto il nome di populismo ed antipolitica, ma il populismo è poi l’unico pane che si continua ad offrire al corpo elettorale, giacché non lo si rappresenta, ma lo si imbonisce e blandisce con oboli, narrazioni e barzellette, riuscendo solo ad esacerbarne il rancore.
Anche di questo discuteremo il 2 ottobre con Azzariti, Carlassare, Pace, Villone, Zagrebelsky nel convegno sulla legge elettorale promosso dal Coordinamento per la Democrazia costituzionale.
ROBERTA CALVANO
professore ordinario di Diritto costituzionale (Università degli studi di Roma Unitelma Sapienza)
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